Il sole e il cielo sereno hanno accompagnato il terzo appuntamento di “Cantautori in Canottiera”, la rassegna di The Goodness Factory e Reset Festival al Cap10100 che che che va alla ricerca di cantautori nostrani da far suonare in riva al Po.
di Federica Monello – “L’aperitivo in canottiera” di questo martedì è stato in compagnia dei romani The Niro e Luca Carocci. Anche stavolta vi racconteremo cosa è successo sul palco, vi faremo conoscere i protagonisti ed entreremo nella stanza dei bottoni che muove tutto. Abbiamo fatto una chiacchierata con chi sta dietro le quinte, Annarita Masullo: anima e core della direzione artistica del Cap10100.
Annarita, l’idea del format è tua: come è nata?
Annarita Masullo: “Come tutte le cose che facciamo in The Goodness Factory, quindi anche la direzione artistica musicale del Cap10100, lo spunto lo da qualcuno di noi e poi insieme ci lavoriamo su. Il La mi è venuto perché Alberto Bianco è un cantautore meritatamente ben voluto nell’ambiente musicale… ne è prova il fatto che noi l’amiamo moltissimo e con lui collaboriamo spesso anche se non è un nostro artista. Durante uno dei nostri pranzi, pensando a una rassegna estiva al Cap10100, abbiamo pensato subito ad Alberto come direttore artistico. Volevamo una voce diversa dalla nostra che facesse una cosa sua, fresca e nuova, e ci stava che un artista come lui si prendesse questo merito (e questo lavoro!). In effetti si è dimostrata una scelta molto giusta. È bello ospitare una rassegna di cantautori costruita con e da un musicista: volutamente – in questa Torino piena di musica – i cantautori scelti son tutti “stranieri” … anche se, immancabili, tra il pubblico ci sono sempre i musicisti della preziosa scena torinese.”
The Goodness Factory, cos’è esattamente?
“Goodness è l’incontro di quattro soggetti: me, Paola Cuniberti, Daniele C e Davide Fuschi. Sono amica di Paola da tantissimo tempo. Ci siamo incontrate grazie ad un bellissimo disco dei Velvet, io management della band, lei produzione esecutiva del disco. Tramite lei ho conosciuto Davide Fuschi per un house concert degli GnuQuartet che abbiamo organizzato insieme proprio a Torino. Tutti e tre ci siamo trovati a lavorare con Daniele intorno al quel bellissimo sogno che era ed è _resetfestival. Ed eccoci qua. Credo che Goodness sia una bellissima realtà, ci occupiamo di tantissime cose: di progetti artistici, della direzione musicale e dalla produzione dei live del Cap10100, del _reset, di Sofar Sound Torino, di eventi noti e meno noti… di creatività. Ognuno di noi porta qualcosa dentro The Goodness Factory.”
Ti occupi della direzione artistica e della produzione degli eventi del Cap. Il pubblico assiste solo alla parte finale di un lungo lavoro, il live. Ma da dove inizia tutto?
“Tutto inizia da una folgorazione: “Facciamo questa cosa!”. Poi c’è il momento del contatto con l’artista e la sua agenzia e della trattativa economica. E poi c’è ancora tutto un mondo dietro: la costruzione di un evento innanzitutto, la sua promozione, la preparazione del teatro e del backstage e moltissimo, moltissimo altro. Chiunque passi dal Cap10100 riconosce uno stile, un’accoglienza: siamo riusciti a trasformalo tutti insieme in un posto che è casa per gli artisti e per i loro staff.. bisognerebbe sbirciare nel backstage quando ci sono i live per capire questa atmosfera! ”
Siamo in un periodo di crisi economica e questo si riversa anche nell’ambito musicale. Secondo il tuo punto di vista, com’è la situazione?
“Noi addetti ai lavori ce la siamo voluta questa crisi. C’è proprio uno scollamento tra la realtà e il mondo del palco. Ci sono dei sistemi e delle logiche in atto che non sono più sostenibili, uno su tutti quello dei cachet. La nostra filosofia in merito è molto semplice: molto spesso preferiamo assicurare agli artisti di un certo calibro il mimino garantito per poi lasciargli di fatto “la cassa dei biglietti” … in gergo si chiamano “coproduzioni”. Paghiamo invece i cachet dei piccoli. Su di loro investiamo, davvero. L’artista che sale sul palco ha la sua dignità innanzitutto come lavoratore e va pagato, ma allo stesso modo anche i baristi, i facchini, i tecnici e tutti gli altri lavoratori. Questo discorso troppo spesso sfugge al mondo del musica. I cachet che strozzano i locali e i festival, vero motore di questo mondo, sono ormai anacronisitici e distruttivi. Tutti, tutti, lavorano durante un live. Tutti vanno pagati. Questo significa davvero che la musica è un lavoro! Questo è il nostro modo di agire… ci preclude forse di fare alcune cose ma siamo felici così.”
Torino e la musica, come giudichi questo binomio?
“Torino è la città della musica. Però i torinesi non lo sanno, sono poco coscienti di questa cosa, del vero potenziale dell’energia che c’è in questa città… sarà il pudore sabaudo! È in serate come quelle di Cantautori in Canottiera che mi rendo conto di questa meraviglia, quando vedo i musicisti torinesi in una terrazza ad ascoltare altri musicisti provenienti da ogni dove. Torino è curiosa, è collaborativa. È la città dove Levante fa un disco e fa suonare Celona, Nadar e Bianco e moltissimi altri, dove Bianco ha nella sua band pezzi bellissimi di altre band… C’è di fatto una connessione tra gli artisti, si scambiano gli strumenti, collaborano ai dischi altrui, suonano insieme. E sono pubblico gli uni per gli altri. E questo io lo trovo bellissimo. Qui la musica è la musica.
Quando il sole inizia a calare si fa l’ora dello showcase, così le due poltroncine ospitano gli artisti e le chitarre vengono prese tra le mani. Attacca Luca, che è un ottimo narratore e ci introduce ogni pezzo come se fosse un racconto. Sono storie di personaggi di paese, di amori e di fatti realmente accaduti. The Niro, riesce già dal primo pezzo a catturare gli sguardi degli spettatori, sul palco c’è un’atmosfera intima e avvolgente. Anche il feeling tra i due artisti si palesa subito, in risate e pizzichi di chitarra che accompagnano i brani altrui. Il ritmo del tamburo che scandisce le remate dei canottieri si inserisce quasi alla perfezione nei brani eseguiti da Luca e Davide. A sorpresa i due eseguono brani inediti che ritroveremo nei loro prossimi lavori. Nell’ultimo inedito di Luca troviamo una strofa scritta e cantata da Bianco. Chiude il live l’ultimissimo brano scritto da The Niro, una ballata dedicata alla mamma.
THE NIRO, ALIAS DAVIDE COMBUSTI, ROMANO CLASSE 1978
Ciao! Ricordi il tuo primissimo approccio alla musica e il momento in cui hai pensato che volevi fare questo nella vita?
“Ricordo di esser stato circondato dalla musica sin da piccolo, grazie a mio padre che mise nella mia stanza una batteria giocattolo. Inoltre da bambino cantavo con un microfono giocattolo e mi registravo, conservo tutt’oggi quelle cassette. Ho capito che fare musica sarebbe stata la mia vita quando durante un live in un locale di Roma per problemi tecnici, qualcuno aveva versato della vodka nel mixer, saltò prima la spia della chitarra e poi anche il microfono. Mi ritrovai così a continuare a cantare a cappella prima e senza microfono dopo. La reazione del pubblicò mi colpì, perché catturai ancora di più la loro attenzione. Quel giorno capii che la mia vita è fatta di musica.”
I tuoi primi album sono in inglese mentre l’ultimo è in italiano, come mai questa scelta?
“La musica che ascoltavo fin da piccolo, grazie a mio padre, era tutta in inglese. Così per me è stato spontaneo pensare musicalmente e scrivere in inglese. Tutte le mie canzoni sono nate in quella lingua, di fatto anche quelle di “1969” che ho poi tradotto in italiano. La scelta dell’italiano in questo disco è dettata dal fatto che volevo lasciare una traccia di me nel panorama musicale italiano.”
Sei stato a Sanremo, croce e delizia degli artisti, come è stata questa esperienza?
“A me importa suonare e far conoscere la mia musica, da una sagra di paese al palco di Sanremo il concetto non cambia. Mi presentai alla manifestazione canora con un brano scritto precedentemente e quindi non per l’occasione. Sì, non amo il mondo della tv e dei talent, ma sono una persona curiosa che ha voglia di fare esperienze diverse; e così sono andato.”
Oggi hai condiviso il palco con Luca Carocci, lo conosci? È la prima volta che suoni così intimamente insieme ad un altro artista?
“Ho conosciuto Luca in occasione della registrazione di una compilation. Sono davvero contento di aver condiviso il palco con lui e forse questa è stata l’occasione per pianificare future collaborazioni. Non mi è capitato spessissimo di dividere in questo modo il palco, ma posso raccontarti di quella volta in Sicilia a Ragusa. Quella sera suonammo per quasi quattro ore nel palco di un teatro insieme a Lopez che apriva i miei live.”
Hai un disco in cantiere?
“Sì, infatti non dovrei essere qui ma rinchiuso in studio. Ho già pronti alcuni pezzi in inglese, anche se avevo intenzione di scrivere un altro disco in italiano. Tra l’altro qualche nuovo pezzo l’ho suonato qui oggi.”
Raccontaci di quando ti hanno invitato a Cantautori in Canottiera.
“Mi ha chiamato Annarita per invitarvi e anche se non sarei dovuto essere qui oggi, come vi dicevo prima dovrei essere in studio, ho subito accettato. Il format mi piace parecchio e sono davvero contento di aver resto parte a Cantautori in Canottiera.
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LUCA CAROCCI, ROMANO CLASSE 1974
Hai iniziato a fare musica quando sei partito per lo Sri-Lanka, ci racconti meglio come è andata?
“In realtà suono da quando ero bambino, ho iniziato con la batteria e poi pianoforte e chitarra da autodidatta a 15 anni. Ho iniziato a scrivere molto giovane, a 10-11 anni. Non pensavo potesse diventare una professione, l’ho sempre fatto come modo di espressione. All’estero mi sono approcciato alla musica in modo differente, ho suonato diversi stili. Non ero attratto dalla musica italiana, ma tornando dopo 16 anni ho trovato un panorama rifiorito e più affine alla mia musica.”
Nei tuoi viaggi hai scritto dei testi che oggi ascoltiamo?
“A fare il mio primo disco ci ho messo 20 anni, quindi contiene brani vecchi e brani più recenti. Il disco si chiama “Giovani eroi” perché quando l’ho iniziato ero proprio giovane, volevo veicolare questa idea che gli eroi esistono solo quando si è bambini. Quando sei adulto gli stessi personaggi diventano quasi degli sfigati, perché la società rifugge dagli eroi…”
In giro per il mondo sei venuto a contatto con realtà musicali diverse con le quali ti sei mischiato. Che differenza c’è tra quelle realtà e quella italiana?
“Credo che oggi la realtà italiana sia molto simile a quella estera, forse l’Italia si sta riappropriando di una forma di cultura dell’arte intesa non solo come intrattenimento. Non dico che non deve esserci l’intrattenimento ma, a mio parere, dobbiamo separarlo dal cantautorato. L’artista non deve essere troppo ermetico, deve avvicinarsi al pubblico. Ma deve anche far fare un “saltino”, la musica deve darti quel quid e farti capire quel qualcosa in più. La musica deve essere per tutti, ma per tutti quelli che hanno voglia.”
Cosa ispira il tuo processo creativo?
“La vita. Sto in mezzo alla gente, non frequento mai gli altri musicisti. Vengo da un paese, faccio un sacco di lavori alternativi perché mi mettono in contatto con le persone. Io racconto le persone.”
Nuovo album in cantiere?
“Sì, sto lavorando a un nuovo disco prodotto da Filippo Gatti. Uscirà a breve un singolo e un videoclip girato nelle campagne toscane. Sarò insieme a Bianco, che ha scritto e cantato una strofa del pezzo.”
Raccontaci di quando ti hanno invitato a Cantautori in Canottiera.
“Alberto mi ha parlato del progetto e ho subito accettato anche perché in questi giorni ho suonato a Milano quindi ero già in zona. Fate bene a seguire questa rassegna, ci si lamenta di quello che la tv e la radio ci offre, quando in realtà la musica si ascolta dal vivo.”