Il rapper di Seattle è salito sul palco del Forum di Milano insieme al suo producer e “fratello” Ryan Lewis. Risultato: un’esplosione d’amore incontrollabile.
Seattle, 1995: nel distretto centrale della metropoli americana vive una famiglia che a poco a poco si sta sfaldando. Il matrimonio degli Haggerty è al capolinea e l’adolescente Ben è sì un ragazzo estroverso e creativo, ma anche molto fragile. Ha 14 anni e frequenta la Garfield High School. Di ritorno da una delle tante giornate sui banchi, trova la casa vuota; la sua curiosità è rivolta verso il mobile dove i suoi genitori tengono gli alcolici. Ben non ci pensa su due volte e tracanna 12 bicchierini di vodka mentre in salotto lo stereo suona una cassetta di Tupac. In un certo senso, è qui che nasce Macklemore.
Sono passati poco più di vent’anni da quel fatto, e il rapper americano è una star mondiale che ha pubblicato qualche giorno fa il suo terzo album in studio, “This Unruly Mess I’ve Made”. Inutile soffermarsi sugli straordinari numeri che la premiata ditta Macklemore & Ryan Lewis è riuscita a collezionare in questi quattro anni, il tutto senza il supporto delle maggiori case discografiche, che ovviamente avevano messo gli occhi su di loro appena uscito “The Heist”. Nonostante le ricadute (droga e alcool) e la conseguente rehab di Haggerty, il duo è riuscito a terminare e pubblicare il nuovo disco prendendosi tutto il tempo (e il denaro, visto che Lewis ha speso quasi tutti i suoi soldi in strumentazione) necessario, senza le pressioni di nessuno.
Macklemore non fa altro che ripetere per tutto il concerto quanto ami Milano: è la terza volta che viene nella città meneghina portandosi dietro la sua cricca di musicisti e ballerini (ne devo aver contati almeno quattordici sul palco). Ed è lo stesso rapper a darci il dato statistico ufficiale: al Mediolanum ci sono diecimila persone. In effetti il colpo d’occhio è notevole, testimoniato da questa foto pubblicata sul suo profilo Instagram.
Aneddoti a parte (al biondino piace un sacco raccontare le sue passeggiate per il centro di Milano insieme alla moglie Tricia e alla piccola Sloane), il live è una bomba colossale. Macklemore è riuscito a creare un entertainment nel quale si mischiano i momenti più party hard (ovviamente “Thrift Shop”) a quelli più introspettivi (“Growing Up”). Ci sono i pezzi che tutti cantano insieme perchè hanno i ritornelli che funzionano un casino (i bambini di “Wings”) e quelli totalmente demenziali, tipo “Brad Pitt’s Cousin”, con i visual sullo sfondo con protagonisti gatti impazziti.
In realtà, dietro la patina da eterno cazzaro impellicciato, Macklemore affronta tutta una serie di tematiche più profonde: razzismo (“White Privilege II”), dipendenza, ricchezza materiale effimera. E lo fa con estrema credibilità, perchè è innanzitutto un rapper molto bravo (sia tecnicamente che concettualmente), ha il look giusto ed è bianco. Il fattore-pelle ovviamente ha contato molto nella sua ascesa, sia perchè sulla scena non esiste un rapper bianco così importante (Eminem fisiologicamente ha perso un po’ di smalto rispetto ai tempi d’oro), sia perchè una denuncia sulle discriminazioni da un artista non afro americano ha assunto una grande rilevanza. Durante il live uno dei suoi trombettisti recita un monologo sull’argomento.
Come Slim Shady, anche Macklemore ha una sorta di alter ego che gli fa dire spacconate e fare cose di cui potrebbe pentirsi, tipo lanciare un biscotto sul terzo anello della tribuna dopo aver rappato su “Let’s eat” e gridato “make some noise for food“. Il suo è uno show autoreferenziale e paraculo (testimoniato dalle grida del pubblico milanese all’affermazione “loudest show of the fucking tour“) ma anche autoironico. C’è anche spazio per fare gli auguri a Robert Downey Jr, a caso.
Ma il comune denominatore che lega tutto è proprio l’amore, declinato in tutte le sue forme: quello di “Same Love”, tanto per intenderci, il momento più sentito di tutto il live. I diecimila si sgolano tutti insieme “And I can’t change, even if I tried, even if I wanted to. And I can’t change, even if I tried even if I wanted to my love, my love, my love. She keeps me warm“. Dopo quasi due ore, Macklemore & Ryan Lewis ci lasciano con un doppio encore all’insegna del revival disco dance (“And We Danced”) e funky (“Downtown”, forse uno dei pochi pezzi che non riesce a convincermi fino in fondo). Il rapper addirittura si lancia sul pubblico del parterre con un tuffo anche piuttosto spericolato, con tanto di esplosione di coriandoli. Macklemore saluta ringraziando tutti e gridando “I love Milan“. Se nei prossimi giorni doveste vedere un tizio impellicciato che gira per le vie del centro con la sua cadillac color crema, con i cerchioni bianchi e una fila di cactus dipinti sulla fiancata, non fatevi troppe domande. Anche questo è amore.