È l’outsider della cucina italiana, televisiva e non: Chef Rubio ci dà qualche ricetta – anche di vita – e ci racconta della sua formazione, delle sue attività lontano dai fornelli ma anche di sport e musica. Ad esempio se si trovasse a cucinare con Thom Yorke…
di Roberta Camilli – Sempre in viaggio alla scoperta del cibo, della cultura e delle tradizioni culinarie italiane, Gabriele Rubini aka Chef Rubio non è tipo da piano cottura a induzione o ingredienti “griffati”. Lui le mani se le sporca sul serio. Per raccontare i veri sapori italiani, diversi da quella che molti chef infiocchettano nei programmi TV, gira, con il programma Unti e Bisunti (giunto alla 3° edizione) il Bel Paese in lungo in largo alla scoperta di sapori dimenticati della tradizione italiana. Col tempo Rubio ha iniziato ad essere seguitissimo anche sui social (soprattutto su Twitter e Instagram) ed ha, ormai, migliaia estimatori che lo apprezzano proprio per il suo modo sincero, spontaneo ed ironico di porsi al pubblico, con quella vena di “spacconaggine” tipicamente romana che lo rende irresistibile. Cucinare, si sa, può essere considerato un gesto d’amore verso se stessi e verso gli altri e, per farlo con coscienza e gusto, bisogna anche sapersi divertire. È forse questo il suo ingrediente segreto…
La ricerca di Chef Rubio si è districata sfidando, senza timore, l’esperienza di massaie, macellai e artigiani del cibo e sperimentando centinaia di ricette. Chef Rubio però non è solo lo Chef è anche semplicemente Gabriele, un ragazzo sempre attivo e aperto verso gli altri, pronto anche a battersi contro le ingiustizie: a partire da “Figli come noi”, canzone realizzata insieme a Il Muro del Canto contro le vittime degli abusi in divisa; per arrivare all’ultima “missione”, ovvero produrre una serie di video-ricette accessibili a un pubblico di non udenti.
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Sei giunto alla terza edizione di “Unti e Bisunti”. Prima eri un giocatore di rugby. Non si diventa cuochi da un giorno all’altro: qual è stato il percorso che ti ha portato al programma TV? Chi è stato il “maestro” che ti ha insegnato di più a livello culinario?
“Di maestri ce ne sono stati diversi e, chi più chi meno sono stati tutti influenti e soprattutto è grazie loro che sono diventato quello che sono, cioè una persona più competente di quanto lo fossi 10 anni anni fa e di sicuro non abbastanza di quanto lo sarò tra 10 anni. Non c’è un nome su tutti, ce ne sono diversi e soprattutto anche gli insospettabili sono stati dei maestri senza nemmeno rendersene conto.”
Se “Unti e Bisunti” ti permettesse di sfidare dei musicisti ai fornelli a chi lanceresti il guanto?
“E’ capitato già a Chioggia di sfidare i Laguna Brothers, scoprendo poi che uno dei due era il membro dei John See A Day, una band raggae funky jazz tipo i Pitura Freska ma più underground. Comunque se dovessi scegliere un altro musicista sceglierei Thom Yorke perché lo stimo come artista e perché mi piacerebbe imparare da lui una ricetta vegana, così per diversificare.”
Tornando al rugby. In previsione della VI nazioni hai cercato di far conoscere e di far appassionare gli italiani a questo sport. Come è andata questa esperienza e come è stato passare dalla cucina agli spogliatoi?
“Il passaggio è stato facile perché dagli spogliatoi venivo e negli spogliatoi sono rientrato. Ovviamente sono entrato pulito dopo esserne uscito sporco. Niente scarpini, niente più fango addosso ma è stato comunque bellissimo poterlo raccontare a persone che non lo conoscevano. Cercherò, in previsione della VI Nazione che sta per venire, di raccontare altre realtà come Rugby Seven, Rugby League, Rugby Beach tante discipline amatoriali che sono forze nuove rispetto al Rugby mainstream.”
Oltre che ottimo cuoco sei anche amante della musica, ti piace ascoltarla mentre cucini? E cosa ti piace ascoltare?
“Mi piacciono tante cose e non le programmo mai. Metto Spotify in base all’umore. A volte però trovo bello ascoltare anche il silenzio. C’è tanta musica nel silenzio ma anche nelle stoviglie, nei prodotti che si cucinano o nei suppellettili che si usano. Se dovessi, però, scegliere un genere ne sceglierei uno allegro e dinamico come possono essere il rock o il folk.”
Se dovessi attribuire ad ognuno di questi piatti della tradizione romana una canzone quale sceglieresti per descrivere il piatto?
RIGATONI CON LA PAGLIATA
Pajata in romanesco (pagliata in italiano) identifica l’intestino tenue del vitello da latte. Nella cucina tradizionale romana viene preparato per preparare solitamente un primo piatto, i rigatoni appunto.
CORATELLA
Coratella è il diminutivo di corata e identifica le interiora degli animali di piccola taglia (agnello, coniglio, pollo). Generalmente nella cucina tradizionale romana cuore, fegato polmoni e animelle vengono cucinati insieme ai carciofi.
CODA ALLA VACCINARA
La coda alla vaccinara è un piatto tipico della cucina romana, costituito dalla coda del bovino stufata e condita con verdure varie.
Sei molto attivo sui social e hai tantissimi fallowers. Su Instagram, dove ti distingui anche come ottimo fotografo, hai lanciato l’hasthag #feedme. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con quelle foto?
“E’ una costante: se uno ce mette er core in quello che fa per forza di cose gli viene bene. Comunque ritengo di essere ancora un fotografo in erba. Cercherò di perfezionare la parte tecnica che mi aiuterà a supportare l’occhio. Per quanto riguarda l’hasthag #feedme è semplicemente una condivisione e nella condivisione di un’immagine si fa vedere qualcosa di vero che non è mai artefatto ma qualcosa che si ha per le mani in quell’istante e ti fa venire voglia di fotografare.”
Sei molto attivo anche nel sociale: “Figli come noi” e #soffiamoviagliabusi segna la collaborazione e la forte amicizia con Il Muro del Canto contro le vittime degli abusi in divisa. Poi una campagna al fianco di Action Aid in Kenya e adesso un progetto attivo per i sordomuti. Nonostante i tanti impegni hai sempre voglia e tempo per darti ai più deboli. Ai più maliziosi potrebbe sembrare un’operazione pubblicitaria: cosa invece ti spinge verso l’altro?
“I giudizi dei più maliziosi non li ho sentiti ma se magari si fanno sentire avrei argomenti validi con cui rispondere e di sicuro non sarebbero quelli da loro sperati. Non credo mi serva pubblicità per lavorare e comunicare. Quello che faccio fa parte del mio quotidiano da quando mi sveglio a quando vado a dormire. A volte sono cose piccole a volte grandi e, quando sono grandi, sono supportate da grandi artisti che mi sensibilizzano su una causa rispetto a un’altra. Le forze che mi spingono verso questi progetti non sono altro che la necessità di avere intorno persone soddisfatte e che non si lamentano. Le ingiustizie dovrebbero essere condannate tutte purtroppo però su 8 miliardi di persone almeno 5 sono pecore che non hanno voglie di lottare per evitare che siano i maiali della fattoria di George Orwell. A loro sta bene a me no!”
Come vivi questa Roma travolta dagli scandali? Che rapporto hai e come vivi la città?
“La vivo, purtroppo, poco perché sono spesso fuori per lavoro. Di riflesso però ne parlo spesso con gli amici. Il fatto è che tanto fa schifo la gestione politica e i poteri temporali, tanto i giovani si stanno rimboccando le mani per tenere viva questa città. Ne conosco di fantastici soprattutto nel campo della musica e della ristorazione. Ciò nonostante la strada è dura perché ci sono i politi corrotti, gli assenteisti, i preti che usano i soldi per farsi gli attici. Sono talmente tante le cose brutte che preferisco parlare solo di quelle belle così quelle brutte se le scordamo!”