Anton Corbijn: il “most wanted man” dietro all’obiettivo

Tom Waits, Depeche Mode, U2, Joy Division, Nirvana, Miles Davis, Nick Cave, sono solo alcuni dei nomi passati attraverso l’obiettivo di Anton Corbijn: classe 1955, olandese, regista oltre che fotografo.
di Serena Gramaglia  –  Vi avevamo già parlato su queste pagine del suo esordio alla regia con “Control”, sulla vita di Ian Curtis(leggi qui la nostra recensione). Il 30 ottobre invece è uscito nelle sale italiane il suo ultimo film, La Spia – A Most Wanted Man.
A me interessa costruire una connessione con chi fotografo. Siamo io, lui e la macchina fotografica per cui, alla fine, si tratta quasi di una questione personale. Le immagini devono riflettere l’incontro di due persone 

Al di là delle qualità che sta mostrando dietro alla cinepresa, ci troviamo di fronte ad uno dei più grandi ritrattisti nella storia (non solo) della musica. Gli scatti di Corbijn sono caratterizzati da unostile essenziale, che mira a scarnificare i soggetti attraverso l’utilizzo prevalente del monocromo fortemente contrastato, il quale – grazie all’eliminazione dei colori – esalta al massimo le forme, lasciando così emergere dal profondo, e con estrema autenticità, la personalità di chi viene ritratto. Lo stesso suo approccio è essenziale: Corbijn si presenta all’artista “impreparato” (come si auto-definisce), senza servirsi di luci, di molteplici lenti, fotocamere e assistenti. Semplicemente va ad incontrare qualcuno e lo fotografa – proprio come faceva a 17-18 anni in Olanda, quando ha intrapreso questa carriera. In tal modo, dice, “confini te stesso – per dire – in una stanza e cerchi solo di far funzionare la cosa. Diventi molto creativo in quel piccolo spazio: lasci fuori dal gioco molte altre opzioni”.

Un approccio, insomma, del tutto antitetico rispetto a quello di Annie Leibovitz o di David LaChapelle, costruito e studiato fino al minimo dettaglio, servendosi il più delle volte di enormi set, nei quali vengono coadiuvati da decine e decine di assistenti e tecnici. Il suo modo di intendere la fotografia lo porta a stabilire un intimo contatto con gli artisti da lui ritratti, che in questo modo si rivelano con semplicità, liberandosi dalla pelle del proprio personaggio, facendoci invece intravedere la loro persona e lasciandoci respirare, grazie all’atmosfera di intimità evocata dagli scatti, la loro vera essenza, la loro musica, la loro voce.

È importante la profondità. Riesco a vedere piuttosto velocemente quali caratteristiche di un viso valgono la pena di essere fotografate. Dopodiché, cerco la persona.

Ed è così, dunque, che nascono foto iconiche: Henry Rollins ci grida in faccia, spasmodico, tutta la sua rabbia, mentre David Bowie risulta distante e magnetico. Lo scanzonato Anthony Kiedis posa con (auto)ironia con tanto di maschera da bagno e boccaglio e Sinead O’Connor con indosso solo un paio di jeans, fuma una sigaretta svelandosi in tutta la sua fragilità, con una posa tanto sensuale quanto pudica, scrutandoci coi suoi grandi occhi. E ancora, Michael Stipe si fa un bagno nella Fontana di Trevi facendo impallidire Anita Ekberg – sì Michael, vengo anch’io, vengo anch’io. E quando invece si tratta di fotografare quel meraviglioso folletto islandese che porta il nome di Björk, quale scelta migliore se non ritrarla mentre regge un enorme orsacchiotto di peluche? Ed eccola lì, sembra quasi di sentirla, la voce infantile di quella bambina monella e irresistibile che fa autostop con una smorfia.

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Henry Rollins

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Anthony Kiedis

È proprio il peculiare approccio intimista di Corbijn ad aver fatto sì che molti dei suoi scatti siano in realtà una sorta di ponte tra arte ed amicizia, una testimonianza del grande legame instauratosi, nel corso degli anni, con alcuni artisti coi quali collabora assiduamente: le profonde rughe che graffiano il viso stropicciato di Tom Waits e che sembrano raccontare molteplici storie beatnik sporche di terra della “wrong side” degli States underground, immerse in fumo e whiskey, sono immortalate nel miglior modo possibile proprio da Corbijn.

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Tom Waits

“Molte foto sono solo scatti divertenti. Siamo come bambini che semplicemente giocano in giro. Troviamo oggetti, giocattoli, qualsiasi cosa, e li usiamo per adattarli alle nostre esigenze. Penso che quelle nei suoi occhi fossero monete di cioccolata. Il tempo di fare qualche foto, e cominciarono a sciogliersi” – A. Corbijn

E’ altresì nota la collaborazione del fotografo con gli U2:

“Quando ho incontrato Anton per la prima volta, gli ho avanzato subito alcune richieste: fammi sembrare alto, magro, intelligente e con un grande senso dell’umorismo… Dunque vorresti essere come me, fu la sua risposta. Così è Anton Corbijn: un nuovo maestro olandese, un uomo divertente, un serio fotografo, un silenzioso film-maker capace di ballare. E allora, qual è il suo problema? Anton, alla fine, avrebbe sempre voluto essere un batterista” – Bono

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Bono

E, ovviamente, con i Depeche Mode, per i quali ha realizzato, oltre a diversi videoclip, la bellissima copertina della loro ultima fatica in studio, Delta Machine: la foto sullo sfondo è stata scattata a New York, e l’aspetto generale della copertina “riflette qualcosa di raw, industriale, indipendente, e ha una vibe grafica”, quasi una trasposizione visiva dell’ electro-blues cupo e metallico che striscia nelle tracce dell’album.

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La copertina di “Delta Machine” dei Depeche Mode

Negli ultimi anni, tuttavia, Corbijn ha cominciato ad abbandonare il mondo del rock, ritraendo personalità interessanti provenienti dal mondo dell’arte più in generale, come testimonia una delle sue più recenti esibizioni, “Inwards and Onwards” – nella quale vengono raccolti scatti che offrono un’affascinante prospettiva sulla vulnerabilità di pittori e creativi da lui ammirati (Marlene Dumas, Jeff Koons o Gerhard Richter, raccontato attraverso un “anti-ritratto”, di spalle, espediente cui spesso il fotografo ricorre, anche sfocando o oscurando il viso del soggetto) o su altre stelle dello show biz, come Kate Moss, la cui maschera crea un paradosso: mentre distrugge la persona-modella creata dai media, funziona inoltre come simbolo dell’interazione tra il sacrificio della privacy e la sua protezione. Anton Corbijn è un artista instancabile, in continua evoluzione: dopo aver realizzato molti videoclip musicali, tra i quali l’onirico e stravolto “Heart-Shaped Box” dei Nirvana, attualmente è concentrato sullaproduzione cinematografica, che “richiede il culmine di tutte le abilità artistiche: video, fotografia, composizione, direzione artistica, design…”. Con ormai tre pellicole all’attivo, pare che abbia intenzione di proseguire, almeno per il momento, sulla strada del cinema, dal momento che non vuole “continuare a fare quel che faceva quando aveva vent’anni”.

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Nirvana

In attesa della future evoluzioni della sua produzione artistica, non posso far altro che ringraziare mentalmente Corbijn: è difficile mettersi in gioco e cercare di rompere le barriere che le persone hanno di fronte all’obiettivo di una macchina fotografica. Eppure un vero artista forse si riconosce quando, con la sua empatia e sensibilità, riesce ad entrare in stretto contatto con la natura umana e con la realtà circostante. A “sentire” prima ancora che vedere. Le sue fotografie me lo rammentano ogni volta.  Grazie,  grazie, Anton Corbijn.

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Bjork

 

 

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