È un po’ che “Il Fu Giovanni Lindo Ferretti” si presenta “A Cuor Contento” in giro per un’Italia che in parte gli ha voltato le spalle ma in larga misura continua ad essere in balìa della sua personalità impossibile da inquadrare e domare, ambigua e controversa, dirompente quand’anche “sbagliata”.
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_di Lorenzo Giannetti
Con questa sono tre le volte che lo abbiamo visto riempire la sala Majakovskj dell’Hiroshima Mon Amour, nel giro di tre anni. A dimostrazione che al netto delle polemiche sul presunto “tradimento” del CCCPensiero, Giovanni Lindo Ferretti continui ad essere una calamita per il pubblico. Per quanto possa essere stucchevole tornarci su, ci troviamo di fronte alla classica situazione per la quale è difficile scindere in maniera netta l’Uomo dall’Artista. Anche perché, pur volendone ragionare al di là del bene e del male, le prediche – opinabili ma rispettabili – di uno, tradiscono in qualche modo alcune recenti dichiarazioni dell’altro. La questione è spinosa ma non la affronteremo in questo momento: no, non ora, non qui. È giusto (provare a) dire innanzitutto dell’Artista. Anzi “il cantante” come lo apostrofano i paesani di Cerretto Alpi, il borgo di montagna dove si è ritirato a vita simil-monastica.
Già, “Il cantante”, quel cantante che in realtà “non esiste più” ma che torna di tanto in tanto in città per guadagnarsi la pagnotta. Ortodossia per sussistenza? Giovanni Lindo che torna Ferretti? Ebbene. Sul tavolo ci sono proprio quelle canzoni, quei pezzi di cuor: le tappe suggerite dal diagramma che prende forma dal suo petto nelle illustrazioni dei poster che accompagnano il tour.
Ancora una volta, quando “il Cantante” si presenta sul palco è un’epifania. Figura ossuta, inconfondibile. Mani in tasca. Un Ferretti più sereno in volto, pare. Non più chiuso in sé stesso, con gli occhi sbarrati, ma addirittura sorridente. Una voce meno sguaiata e più ieratica, potente e incisiva come un tempo. E sono più di sessanta gli anni all’anagrafe.
Come ormai già sappiamo si oscilla tra passato remoto (il soviet-punk, il consorzio rock), passato prossimo (la world-techno dell’esordio solista “Co.dex”) e il presente (l’epica cavallerizza di “Saga”). La scaletta è da incorniciare, che si salga con più o meno entusiasmo sulla corriera della nostalgia col conducente. Se non altro perché tra una “Spara Jurij” con pogo fuori tempo massimo, la cover del compagno Battiato “E ti vengo a cercare” e l’immaginario rendez vous con Amanda Liar in “Tomorrow”, parte a sorpresa “Curami”: “Saranno vent’anni che non la facevo…” – ghigna Lindo – “… ma dovevo farla perchè i ragazzi erano al Liceo quando uscì questa canzone e ci tenevano davvero a suonarla almeno una volta dal vivo!”. I “ragazzi” sono gli Ustmamò, rispettivamente Ezio Bonicelli e Luca Rossi, che da anni accompagnano il solista Giovanni Lindo Ferretti in tour, gestendo il tris chitarra, basso e batteria elettronica, con l’aggiunta degli archi, di quel violino che si ritaglia spazi importanti ad esempio nella milonga di “Amandoti”.
Dalle filastrocche robotiche di “Per me lo so” a quelle vernacolari di “Oh! Battagliero”, passando dal muezzin di “Radio Kabul” si arriva ad una trasfigurata versione ancor più cupa di “Emilia Paranoica”: canzoni immortali e un Ferretti che è al solito ipnotico, magnetico. Uno che potrebbe farti passare la Pagine Gialle per Sacre Scritture. Esseri inenarrabili, ma tutt’altro che innumerevoli, quelli come lui.
E se a qualcuno – più intransigente, forse, con il Giovanni Uomo dopo l’abiura del Cantante – vien da chiedersi quanto “su un punto delicato, questa non è una replica, facile e leggera, una mossa tattica” non lo biasimo. Nonostante la bontà d’esecuzione e il comprensibile entusiasmo del pubblico filo-revivalistico c’è più senso nel Ferretti radicale (“nuovo” e a questo punto davvero “barbaro”) del suo teatro equestre o dei reading “Bella Gente d’Appennino”, che in questo karaoke d’autore nella periferia sabauda. Ma del resto con lui è sempre stato “spara o spera”: una mina vagante, un’anima vacante, un’incognita. Tant’è che quando durante il bis dal pubblico s’alza una voce “Comunque Putin è una merda”, risponde ridendo sotto i baffi “È indubbiamente vero, delle volte lo penso anch’io. Ma comunque non puzza più di altri”.
Un carriera da sempre ambigua e altresì contraddittoria. Ma pure unica e irripetibile. Lindo, amarti m’affatica… che fare? Probabilmente risponderebbe “M’importa ‘na sega”.
Uscendo rileggo un appunto preso su un’agenda troppo piena, lo scampolo di una vecchia intervista di Ferretti: «Sono sempre stato un cultore del cattivo gusto: mi piace andare a verificare l’odio degli altri. Così finisco per credere a ciò in cui credo grazie a chi avversa un’idea, non a chi la sostiene, è il mio modo di rapportarmi alla vita. I Cccp erano filosovietici in quanto nati in Occidente: fossimo nati nell’Unione Sovietica saremmo andati in giro con la Coca-Cola in mano e vestiti come Sylvester Stallone. Allo stesso modo, sono diventato cattolico non grazie ai preti, ma grazie ai miscredenti».
Ma porcoddio, Lindo, mi hanno fottuto la bici.
Il concerto, comunque, è stato semplicemente magnifico per intensità ed esecuzione.