La musica intesa come Arte è ormai fagocitata dalle logiche di mercato? Il digitale e la pirateria hanno sicuramente cambiato le regole del gioco ma il problema – ancora una volta – è un problema di educazione e cultura…
Gli artisti muoiono di fame risentendo non solo di pirateria e diritti streaming. Nelle loro tante (e giustificate) lamentale circa la traiettoria della propria professione nell’era digitale, autori e musicisti sostengono regolarmente che la musica è stata “svalutata”. Nel corso degli anni, hanno additato due principali colpevoli.
Per prima cosa, la pirateria e l’inutilità del “competere con la musica gratuita”. Più recentemente, inoltre, l’attenzione si è concentrata sugli – a quanto pare – minuscoli pagamenti delle canzoni generati con lo streaming di servizi quali Spotify o Apple Music. Queste sono questioni serie, e molti concordano nel dire che l’industria e i legislatori hanno molto lavoro da fare. Ma almeno c’è dialogo, e stanno avvenendo progressi verso nuovi modelli di diritti e royalties nella nuova economia musicale.
Meno ovvie sono un certo numero di altre forze e tendenze che hanno svalutato la musica in un modo più nocivo rispetto ai problemi di iper-rifornimento e di manovre all’interno dell’industria. E per “musica” non intendo i format della canzone popolare che si vedono negli show a premi e che passano per le radio commerciali, ma “musica” come forma d’arte sonora – immaginativa, concettuale composizione e improvvisazione radicata in idee armoniche e ritmiche. In altre parole, Musica come era definita e vista quattro o cinque decenni fa, quando l’arte musicale (in modo impreciso, ma generalmente definita come “classica” o “jazz”) aveva davvero importanza.
Quando sento i compositori delle hit che passano in radio lamentarsi dei loro esigui guadagni su Spotify, penso ai prodigi jazz di oggi che non avranno la possibilità di nemmeno una frazione del successo della vecchia guardia su scala popolare. Non possono neanche immaginare di lavorare in un ambiente musicale che potrebbe condurli ad avere un nome celebre come accadeva per una grande varietà di artisti, da Miles Davis a John Coltrane. Si struggono contro forze proprio nel fulcro degli affari, cultura ed educazione che hanno cospirato per rendere la musica meno significativa per il grande pubblico. Qui di seguito, ci sono alcune delle questioni più spinose che i musicisti stanno fronteggiando nel paesaggio dell’industria musicale odierna.
LA MORTE DEL CONTESTO
Gli ecosistemi della musica digitale, a cominciare da iTunes di Apple, hanno ridotto gli album in immagini di copertina dalle dimensioni di un francobollo e con tre tipi di informazioni: Artista, Titolo della canzone, Album. Come i critici di musica classica hanno a lungo argomentato, questi sistemi rendono pochissima giustizia a compositori, direttori d’orchestra, solisti ed orchestre. In più, come ho sostenuto a lungo in un saggio precedente, c’è mancanza di contestualizzazione. Mentre ci sono biografie in pillole di artisti e compositori nella maggioranza dei servizi, gli album storici sono venduti e ascoltabili in streaming senza i credits o note lineari dell’era dell’LP o del Cd. Il numero dei super-fan che leggono e assimilano questa roba è troppo piccolo da meritare attenzione da parte dei servizi digitali o etichette discografiche, ma quel che si è perso è la classe esperta che infonde la cultura con informato entusiasmo. Il nostro ambiente digitale poco informato sta fallendo nell’ispirare tale fandom, ed è profondamente pericoloso per la nostra condivisa idea del valore della musica.
LA RADIO COMMERCIALE
E’ un target facile, ma non si può non sottolineare come profondamente la radio sia cambiata tra l’esplosione della musica popolare nella metà del 20esimo secolo e il modello aziendale degli ultimi 30 anni. Un’etica della musicalità e scoperta è stata sostituita totalmente da una cinica manipolazione di un segmento della popolazione e dal più blando comune denominatore. Le playlist sono molto più corte, con una manciata di singoli ripetuti incessantemente finché i gruppi centrali non le abbandonano. I DJ non scelgono più la musica basandosi sulla loro competenza e non intrecciano più un racconto intorno ad un’incisione. Come con le note lineari, tutto ciò va verso ascolti più passivi, e riduce la dieta musicale della maggioranza degli americani in una manciata di hit a scala industriale, pesantemente prodotte.
Hanno avuto una grande fortuna coloro ai quali la musica è stata spiegata e (di)mostrata come un gioco per il cervello così come per il cuore. Perché così tante persone siano soddisfatte di avere a che fare con la musica solamente a livello emozionale è ancora un grande, svilente mistero.
I MEDIA
Negli anni ’60, quando sono nato, le pubblicazioni della stampa mainstream prendevano le arti seriamente, creando copertine e promuovendo eccezionali talenti contemporanei, in tutti gli stili musicali. In questo modo, un Thelonious Monk è finito sulla copertina del TIME, per esempio. Quando ho cominciato a creare copertine di musica per una catena di giornali attorno al 2000, si stabiliva l’ordine di priorità delle storie in base alla fama del nome del soggetto. Le storie di arte/cose nuove erano subordinate alle notizie sulle celebrità, e a livello sistematico. I metodi di misura dell’industria (posizione in classifica e numero di biglietti venduti) sono diventati l’ingrediente principale della “notizia” di musica. Nell’età della misurazione dei click, il continuo concentrarsi esclusivamente sulla classificazione ha istituzionalizzato la camera di riverberazione della musica pop, stordendo e scoraggiando l’impegno con l’arte musicale.
COMMISTIONE
Una poco notata ma corrosiva fissazione dell’era digitale, è il modo in cui le nostre interfacce combinino la musica con tutti gli altri media e scelte di intrattenimento. iTunes cominciò con questa tendenza prendendo un software destinato apparentemente a raccogliere e ad ascoltare musica, e trasformandolo in una piattaforma per programmi tv, film, podcast, giochi, applicazioni e via dicendo. Tutto ciò è allo stesso tempo simbolo e causa del calante significato e importanza della musica nell’assalto multimediale che è la nostra cultura. I luminosi display che distraggono le persone dal “semplice” ascoltar musica, sono già ovunque. Quindi perché imporli su un lettore musicale? Io credo che una delle ragioni per cui vinili e fonografi sono di nuovo di moda sia che le persone musicalmente orientate bramino per qualcosa come un luogo sacro, una culla per la loro musica – un dispositivo che è solamente per la musica.
ANTI-INTELLETTUALISMO
La musica è stata per decenni promossa e spiegataci quasi esclusivamente come un talismano di emozioni. La questione soverchiante è come ti faccia sentire. Laddove, invece, l’arte musicale occidentale, trascendeva a causa della sua affascinante danza tra emozione ed intelletto. L’arte musicale è relazionata alla matematica, all’architettura, al simbolismo, ed alla filosofia. E come questi argomenti sono stati sminuiti nella stampa generale o nella TV via cavo, la nostra abilità collettiva di approcciarci alla musica attraverso la lente degli studi umanistici si è atrofizzata. Chi di noi ha avuto la musica spiegata e dimostrata come un gioco per il cervello così come per il cuore, ha avuto una grande fortuna. Perché così tante persone siano soddisfatte di avere a che fare con la musica solamente a livello emozionale è ancora un grande, svilente mistero.
Chi interiorizza le regole e i riti della musica in tenera età sarà più probabilmente propenso a frequentare concerti seri e ad approcciare, una volta adulti, un orecchio più fine alle scelte di musica pop.
FILM E VIDEOGAMES
Noi, per cultura, ascoltiamo parecchia musica “classica” o composizioni strumentali, ma essa si è spostata dalla sala concerti al videogioco e colonna sonora. Da una parte, in questo modo sono date ai giovani compositori possibilità di sbarcare il lunario, e per quegli scenari immaginari è stata creata della musica veramente buona. Ma c’è un effetto pericoloso della colonna sonora per gli onnipresenti media: in quelle intere galassie musicali, idee, motivi e stati d’animo sono stati essenzialmente presi e resi clichè. Come fa un giovane immerso in un rimbombo di una colonna sonora di un falso-Shostakovich, in un videogioco di guerra, sentire il vero Shostakovich e pensare pure che sia una bella roba? Questo raramente viene fatto notare, ma credo che milioni di impressioni cumulative della musica di sottofondo, assegnate a “storie d’amore” e al “dolore” e all’ “eroismo” sono state ricoperte sotto strati di cicatrici sulla nostra abilità di sentire qualcosa quando della musica sinfonica tonale viene suonata o scritta nel 21esimo secolo.
LA MUSICA NELLE SCUOLE
Tutto inizia – o finisce – da qui. Come per qualsiasi altro linguaggio, le regole e i termini e le strutture sono per lo più assorbite da giovani. E come la musica è stata tagliata da più della metà delle scuole in America in una lunga, insopportabile tendenza, i tagli si basano con crescente evidenza sull’effetto domino che l’educazione musicale ha sulla performance accademica in generale – il discorso della “musica che rende i bambini più intelligenti”. Questo è vero e di vitale importanza, tuttavia abbiamo la tendenza a perdere di vista il valore della musica nella nostra cultura – ovvero che l’educazione musicale rende i bambini più musicali. Chi interiorizza le regole e i riti della musica in tenera età sarà più probabilmente propenso a frequentare concerti seri e ad approcciare, una volta adulti, un orecchio più fine alle scelte di musica pop.
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A chi importa del futuro del business musicale dovrebbe passare meno tempo lamentandosi della rivoluzione del digitale, e dedicare più energie a sollevare nel pubblico più consapevolezza della musica “seria”, perché svalutiamo davvero la musica quando riduciamo la nostra arte più emotivamente d’impatto ad un artefatto di una celebrità o ad una scelta di stile di vita. La complessa musica strumentale è stata emarginata entro un millimetro del suo reale essere, e ciò ha molto a che fare con la gente dell’industria che ne definisce il “valore” solamente nella misura in cui essa procuri introiti a sufficienza.