Jonah Lomu: la montagna che mi ha insegnato il rugby

Un tributo a Jonah Lomu, scomparso ieri all’età di 40 anni dopo aver combattuto una terribile malattia. Un vero outsider dello sport mondiale.

Illustrazione in prima pagina dell'Irish Examiner di oggi

Illustrazione in prima pagina dell’Irish Examiner di oggi

di Luca Feltrin   –   Mercoledì 18 Novembre 2015 sarà per sempre ricordata come una delle date più tristi per la storia di questo meraviglioso sport nato in Inghilterra nel lontano 1823. È venuto a mancare, all’età di 40 anni, la leggenda del rugby neozelandese e mondiale Jonah Lomu, dopo che una grave e rara malattia degenerativa ai reni ha avuto la meglio su di lui. Pur costretto al ritiro anni fa, Lomu ha sempre combattuto contro questo orrendo male, dando al mondo intero la dimostrazione di come si possano superare i propri limiti. Tuttavia, stanotte una crisi ha fermato il suo grande e forte cuore ed è riuscita a portarselo via, privando il mondo rugbistico del suo figlio prediletto.

Il colosso di Auckland era un omone di quasi due metri e con un peso di 119 kg che si permetteva il lusso di correre i 100 metri in 11 secondi. In altre parole era una locomotiva inarrestabile che si nutriva di zolle e fango, un trattore che arava inesorabile tutto quello che aveva di fronte. Era il tripudio della fisica, in lui aveva massima espressione la formula per cui la forza è data dalla massa moltiplicata per la velocità, quindi persino Isaac Newton l’avrebbe sinceramente apprezzato.

Tuttavia, la cosa più incredibile non era tanto la sua scheda fisica quanto il ruolo che ricopriva in campo: era infatti un trequarti ala. Per chi non ha familiarità col rugby, le ‘ali’ sono quei giocatori che vestono la maglietta contrassegnata dai numeri 11 o 14, famosi in quanto considerate le antitesi dei massicci e granitici piloni data la loro forma snella ed asciutta, e sono responsabili delle fasi finali delle azioni di gioco: per farla breve, sono quelli che devono correre il più velocemente possibile e segnare.

Jonah è riuscito a stravolgere questo schema ed a rinnovare completamente il gioco rendendolo più spettacolare e coinvolgente. Non a caso molti lo ritengono la prima vera superstar mondiale, che ha fatto conoscere il rugby anche in nazioni in cui era relegato a livelli esclusivamente amatoriali. Oggi, non è morto solo un giocatore, uno come tanti. Oggi se n’è andata la ragione per cui io ho preso per la prima volta in mano una palla ovale 10 anni fa. Ho deciso di giocare a rugby, nonostante le suppliche e le preghiere di mia madre, dopo aver visto la meta di Jonah contro la super favorita Inghilterra ai mondiali del Sud Africa di Mandela del 1995. In quell’occasione, il mio numero 11 preferito, dopo aver rotto un placcaggio di Tony Underwood, ha letterlamente travolto uno sfortunatissimo Mike Catt, la cui unica colpa è stata di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, ed ha segnato una delle mete più belle della storia di questo glorioso sport. In quel momento ho pensato “Cavolo! Io voglio essere come lui”.

Lomu è la ragione per cui ho preso davvero tante botte nella mia breve carriera sportiva, una delle quali mi è costata anche uno stop di 4 anni per danni ad una vertebra; per cui mi sono ritrovato a correre nella neve a -7 gradi pur di preparare una partita che non si è mai giocata a causa del maltempo; per cui ho passato a casa molti sabato sera in preparazione del match domenicale invece che uscire con gli amici. Mi ricordo perfettamente il mio debutto avvenuto in una calda sera di fine settembre. Era la prima volta che indossavo un paradenti e mettevo le scarpette chiodate e da quel momento è nata una fiamma nel mio cuore che non si è mai più spenta, nonostante il Fato ci abbia soffiato contro molte volte.

Quella palla, quel giorno, odorava di erba e terra, sapeva di buono. Quella palla racchiudeva tutta una storia di sacrifici e passione, di rispetto per gli avversari e di amicizie sul campo. Un famoso detto dice: “Un pallone rotondo te lo può restituire anche un muro, un pallone da rugby te lo può passare solo un amico”. Bé è assolutamente vero. Nulla è più importante della squadra in questo gioco. Per questo motivo nel rugby, se vuoi avanzare verso la linea di meta avversaria, devi necessariamente passare la palla indietro. Agli occhi del profano ciò può sembrare un paradosso, un ossimoro, un’illogicità ma non è così. Questo permette a colui che ha la palla di sapere che il sostegno del compagno ci sarà sempre, che non sarà mai solo in mezzo alle linee nemiche e che avrà sempre qualcuno a guardargli le spalle.

Il rugby non è solo uno sport, non è solo “il modo migliore per tenere trenta energumeni fuori dal centro” come sosteneva Oscar Wilde. Il rugby è una palestra di vita che ti insegna che i valori dell’uomo e dell’altleta sono inscindibili ed io non ringrazierò mai abbastanza Jonah Lomu per avermi, seppur inconsciamente, spinto a ‘mangiare un po’ di terra’.

Un rugbista non muore, al massimo passa la palla – Anonimo

Grazie di tutto, campione.

 

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