Circa sei anni fa il notaio Andrea Bartoli, spinto dalla moglie Florinda Saieva, decide di acquistare dei ruderi decadenti a Favara (in provincia di Agrigento) e di creare una piccola comunità in cui l’arte possa esprimersi liberamente e a cielo aperto. Nasce così Farm Cultural Park.
di Emanuela Castorina – In Sicilia è facile imbattersi in paesini nei quali intere zone risultano abbandonate o lasciate nella totale decadenza. Luoghi che in passato erano il cuore di piccoli centri dove si sviluppavano le più antiche tradizioni, abbandonati e svuotati con l’arrivo della modernità. La ricerca di lavoro, condizioni di vita migliori e la mancanza del naturale avvicendarsi delle generazioni hanno fatto sì che case e strade risultino adesso disabitate e vuote. Un esempio di questo tipo lo si può riscontrare a Favara, un paese in provincia di Agrigento, noto alle cronache soprattutto per essere un covo di latitanti e dove la criminalità l’ha fatta da padrona lasciando poco spazio al diffondersi di arte, bellezza e cultura. Adesso street art, installazioni, musica ed eventi finalizzati alla conservazione di un patrimonio artistico e gastronomico tipico della Sicilia, risiedono presso i Sette Cortili attraverso cui si estende la Farm.
Il nome “Favara” ha iniziato ad esser così associato all’arte, alla riappropriazione dell’ambiente esterno e di spazi in cui ogni artista può esprimersi liberamente. Tante iniziative hanno condotto in Sicilia artisti provenienti da tutte le parti del mondo e hanno ridato lustro a un luogo del tutto sconosciuto, consentendo alla speranza di farsi largo con tanta forza di volontà e passione per modificare la reputazione di un luogo. Importante precisare che la Farm è nata grazie all’impiego delle forze e risorse economiche dei fondatori, e con un piccolo contributo di donazioni private; completamente assente qualsiasi tipo di supporto istituzionale.
Di come questo miraggio artistico sia riuscito a prender forma ne abbiamo parlato prima direttamente con il suo ideatore; e poi con Vlady, uno degli artisti ospiti con la sua mostra “Thirsty for Public Spaces”.
La Farm è ed è stata l’opportunità per i giovani di intraprendere anche un percorso lavorativo con l’apertura di locali lungo i Sette Cortili. Ma viene da chiedersi se l’attività commerciale e la conseguente riqualificazione del quartiere non possano diventare sinonimo del fenomeno dellagentrification. Esiste la possibilità che questo fenomeno tocchi la Farm com’è avvenuto in altre città europee nei quartieri popolari?
Bartoli: “C’è un piccolo fenomeno di gentrification ma il centro storico è molto grande e molte delle persone che lo abitavano prima del nostro arrivo continuano ad abitarlo. Ad esempio all’interno dei Sette Cortili tutte le Zie (“signore del paese”, ndr) continuano ad abitare nei Cortili in mezzo all’arte, ai creativi e ai turisti che ormai arrivano da tutto il mondo. Non solo non hanno deciso di andare via, ma la loro qualità della vita è migliorata tantissimo e sono le prime a lamentarsi quando nei periodi invernali ci sono meno attività culturali.”
Si prevede un’evoluzione artistica o un cambiamento delle opere che hanno abbellito e reso unici i cortili della Farm? Cambiamenti dal punti di vista estetico?
B. “I Sette Cortili cambiano sempre da sempre. Chi ritorna dopo sei mesi fa spesso persino fatica ad orientarsi.”
La Farm è diventata la culla di tanti artisti italiani e anche stranieri, molti di passaggio, curiosi di visitarla e di lasciare una traccia di sé. È già successo o succederà di portare un po’ di Farm nel resto d’Italia o all’Estero?
B. “Da anni siamo coinvolti in iniziative in giro per l’Italia e l’estero ma da quest’anno sempre di più; saremo ad aprile in Spagna, e a Malta, a fine maggio in Biennale a Venezia, ad Agosto a Tokyo e tra ottobre e novembre a New York.”
Cos’è il progetto Farm Children’s Museum?
B. “Una nuova grande sfida: ristrutturare un palazzo del Settecento e destinarlo ai bambini, agli adolescenti e alle loro famiglie, per realizzare il più grande e meraviglioso Children’s Museum mai visto in tutta Italia, un ecosistema didattico completo in cui l’edificio stesso, come ogni cosa al suo interno, è concepito in base al modo di imparare dei ragazzi. Perché solo creando un ambiente formativo adeguato e ricco di stimoli potremo avere domani nuovi cittadini più consapevoli, etici e generosi. Farm Children’s Museum è un luogo per il futuro dove i bambini di tutte le età, potranno giocare, imparare e sognare, per coltivare pensiero critico, responsabilità sociale e consapevolezza globale e per aiutarli a rendere il mondo migliore. Spazi stupefacenti per il gioco, laboratori multimediali di ogni tipo per l’apprendimento, spazi espositivi per installazioni e mostre e un piccolo teatro per spettacoli e manifestazioni sono le principali attrazioni. Farm Children’s Museum sarà il primo Children’s Museum italiano e diventerà punto di riferimento non solo per i bambini e gli adolescenti di Favara e della provincia di Agrigento ma anche per tutti i bambini della Sicilia. Si tenga presente che già da qualche hanno Farm Cultural Park organizza attività e laboratori per bambini ai quali partecipano scuole di tutta la regione.”
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Il 20 febbraio si è inaugurata una nuova mostra dal titolo Thirsty for public spaces che vede protagonista l’artista catanese Vlady e rimarrà presso la Farm fino al 12 giugno. Sete di esprimersi e necessità di occupare spazi pubblici, nasce da questa esigenza l’idea della mostra. Negli ultimi tempi si è manifestata una propensione maggiore all’appropriazione di spazi all’aperto per liberare la creatività di un artista, spazi dove non esistono limiti e dove ogni oggetto, che sia artificiale o naturale, diventa parte di un’opera d’arte.
Chi meglio di Vlady riesce a decontestualizzare e contestualizzare quello che il mondo esterno mette a nostra disposizione? È un modo di concepire l’arte che appartiene all’artista ormai da diverso tempo. Un esordio nella street art più decorativa e meno invasiva lo ha portato poi verso l’uso della comunicazione e quindi della parola attraverso testi e slogan che danno un valore aggiunto a ruderi, oggetti di uso comune e a tutto quello che quotidianamente ci circonda. L’artista ce li mostra sotto un altro occhio, con una certa dose di humour e sarcasmo, un modo come un altro per far sorridere amaramente.
Abbiamo chiamato in causa direttamente Vlady per trovare un altro punto di osservazione – quello di chi espone – sulla realtà della Farm.
La tua sete e quindi libertà di espressione in che modo si manifesta? E come questa espressività è avvenuta alla Farm?
Vlady: “Diciamo che per un’artista è sempre carnevale. Andiamo oltre la quotidianità e se fatti e cronache ci condizionano l’umore, è proprio attraverso l’arte che rispondiamo. L’arte sono i carri in maschera. Almeno, così è per me. C’è molta libertà in ciò che faccio, mi prendo parecchie licenze. Metti per esempio il mondo del porno. In che modo, se non attraverso l’arte, possiamo scrivere a caratteri cubitali tutte le sue categorie e uscirne vittoriosi? La mostra alla Farm è per un buon 80% una mostra di documenti: sono fotografie (miei scatti) dei miei lavori. Circa le stesse foto che potresti vedere sul mio sito, ma stampate in ottima qualità e dimensioni avvolgenti. Snocciolare idee alla Farm è piuttosto semplice. Basta un brainstorming con i collaboratori, con Bartoli in primis, e costatatine insieme la fattibilità e i costi, si passa al Fare, di tutto. Va detto che abbiamo messo su una mostra con pezzi inediti in pochissimo tempo.”
I tuoi lavori nascondono e a volte palesano dei messaggi, mi viene in mente la pila di materassi. Perché quelle parole o se l’ordine in cui sono disposti è semplicemente casuale.
V. “Volessi mandare sempre un messaggio, userei un telegramma” (cit.), tuttavia sì, sono stato il primo su questo territorio a occuparmi in modo esteso e costante di interventi, non di murales. Gli interventi ancora più della pittura, portano spesso un significato, un messaggio. Il mondo del porno con i materassi nasce da un mio piccolo intervento su delle cassette di rete, Telecom. L’industria del porno e le sue voci sono tra le più ricercate di internet. Questa industria ha creato una serie di etichette per catalogare l’intero genere umano.
Le donne, come prodotti, non sono più madri ma milf, tua sorella quindi è teen, le fantasie che puoi avere per una donna giapponese sono interracial, tua madre è mature se non addirittura granny. Quello che faccio è anche ricerca, non sembra ma ci provo. La corsa costante è verso il ‘non già fatto’; ho come l’impressione che nell’arte questo pianeta di tag e categorie non sia mai stato esplorato. E poi, mi diverto. Però nel mio approccio sono un artista urbano, divenuto qualcosa o qualcuno attraverso delle esperienze solitarie e in strada; nel nostro operato c’è molta causalità. Non registriamo ogni suono in un canale diverso, registriamo il live. I materassi quindi sono disposti a caso, impilati come dei libri. Il resto non è scritto.”
Una parte del ricavato dalla vendita delle tue opere sarà destinato al progetto Farm Children’s Museum, com’è andata la vendita? E poi, dato che si parla di bambini, come spiegheresti la tua arte a un bambino?
V. “Per adesso ho venduto solo multipli e stampe, non i ‘pezzi’. È difficile aprire il portafoglio all’arte, servirebbero i fiumi di persone di una città opulenta e colta. La mostra però dura alcuni mesi, di gente ne passerà. Non dipendo da questo, certo mi farebbe piacere se qualcuno concepisse il possesso di un materasso “gangbang” per la propria collezione. Parlare di arte ai bambini mi capita più di frequente di quanto si pensi. È una complessa ambizione. Dipingessi animali e personaggi, sarebbe semplicissimo.Ma io nell’arte mi sono ficcato in una nicchia ultra limitata, addirittura concettuale; è come se dovessi spiegare i Dead Kennedys a Marco Mengoni.
Intendiamoci, io adoro la mia nicchia. Il figurativo-commerciale non mi interessa. Comunque ai bambini riesco a parlare meglio che al sindaco. I bambini capiscono cosa è fare casino, sporcarsi le mani, scrivere sulle cose, non chiedere il permesso e vivere solo per giocare. Il mondo del porno invece è preso in prestito dai cookies del pc del sindaco; i bambini per fortuna non possono capire.”
Galleria fotografica di Corrado Lorenzo Vasquez.