Riff dopo riff, il power trio australiano manda in orbita il pubblico milanese accorso all’Alcatraz.
In un nuvoloso giorno della Festa della Mamma, a salvarci dalla noia della domenica sera ci hanno pensato, manco a farlo apposta, i Wolfmother, approdati all’Alcatraz di Milano per l’unica data italiana del “Gypsy Caravan Tour”.
La band hard rock australiana è impegnata nella promozione dell’ultimo lavoro pubblicato, “Victorius” (2016, Universal), ma nel manifesto del tour sono loro stessi a mettere subito in chiaro le cose: “Performing all your favourite songs and music from the forthcoming new album”. Quali sono le “canzoni preferite” dai fan alle quali si riferiscono?
Ovviamente le tracce di quello che verosimilmente sarà per sempre riconosciuto come il loro lavoro più riuscito ed importante: il fotonico “Wolfmother” del 2005, album di debutto che li ha proiettati dall’Australia all’attenzione di tutto il mondo. Anche i più accaniti detrattori dovranno riconoscere l’importanza di quel disco che, seppur dotato della leggerezza scanzonata che li contraddistingue e di un’attitudine da giovani nerd che scoprono in cantina i vecchi vinili di loro zio, più di 10 anni fa ha dato vita ad un nuovo ed apprezzato revival hard rock anni ’70 senza il quale probabilmente non avremmo mai visto nascere ora progetti più evoluti e ricercati come Band of Skulls e Royal Blood.
Coloro che si sono affacciati all’adolescenza nei primissimi anni del 2000, sono giunti quasi sicuramente all’ascolto di Black Sabbath, Led Zeppelin e così via grazie al clima “nostalgico” creato dall’esordio degli Wolfmother (ed anche dall’uscita del videogame Guitar Hero, se vogliamo). E’ altrettanto probabile che i gruppetti da liceo abbiano intonato all’epoca, tra una cover fatta male dei Guns‘n’Roses e un’altra degli AC/DC, anche una Woman in sala prove. Data la premessa dell’irripetibile successo del primo album, seguito da lavori non certo memorabili, vari cambi di formazione e progetti solisti, l’interrogativo è banale: come si presenteranno nel 2016 in concerto Andrew Stockdale soci? Per quello che si è visto e sentito nel club milanese, nel miglior modo possibile.
La scaletta è sapientemente studiata, e i pezzi del primo album (suonato dall’inizio alla fine) sono distribuiti in diversi momenti del live, mischiati a canzoni estratte dagli altri tre lavori, in modo da creare meno cali di tensione possibili per il calorosissimo pubblico dell’Alcatraz. La voce di Stockdale c’è ancora e squilla potente, e la formazione è tornata ad essere uno spettacolare power trio che fortunatamente scongiura ogni possibile previsione di assistere all’esibizione di una one-man-band. Anzi spesso è difficile staccare gli occhi dal bassista Ian Peres, che non manca più volte di regalare numeri circensi destreggiandosi tra basso e tastiera.
L’ingresso sul palco è offerto dalla title track dell’ultimo album, di cui è appena uscito il video che ben rispecchia lo spirito goliardico della band, subito dopo la hit Woman viene data in pasto alla folla ed infine l’abbondante ora di riff e falsetti d’annata viene chiusa in bellezza con Jocker And the Thief.
Si può facilmente pensare che una band simile non abbia più molto da offrire in un mercato discografico che ora va in direzioni diametralmente opposte, ma, come giusto che sia, il concerto è un altro discorso: ora come ora un intenso live rock come quello che possono offrire i Wolfmother è veramente un ottimo modo per disintossicarsi e rifugiarsi, almeno per una sera, in suoni ed attitudini d’altri tempi. Con buona pace dei detrattori.