Abbiamo seguito la formazione romana durante la seconda di tre date al Locomotiv e ne siamo usciti insonni.
di Marco Vitali – Devo un tributo a un amico. Questo amico ritiene che il clamoroso successo che Niccolò Contessa e i suoi Cani stanno riscuotendo, sia dovuto alla loro incredibile capacità di raccontare una generazione, e potrei dire anche più d’una, con lucidità e senza la minima pietà. Meglio: questo amico ritiene che Niccolò Contessa sia il Max Pezzali della nostra generazione. Sono stato al loro concerto, al Locomotiv Club di Bologna, per capire se fosse davvero così o se dietro a (in ordine sparso) Lexotan, Playstation 2, Long Island, Wes Anderson, la cocaina e il sesso senza sentimento, si nascondesse qualcosa di più.
I Cani sono come li immaginate. Dormono poco, mangiano male (non li perdonerò mai per non aver suonato “Storia di un impiegato”), si vestono di nero e gran chissenefrega a tutti. Aprono la serata con “Baby Soldato”, accennata, appoggiata, ma profonda e ballabile. Lo stesso dancing groove è riproposto nella successiva “Protobodhisattva”. Poi, senza soluzione di continuità, si ritorna al primo album: “Le Coppie”. Qui sono cominciati i miei problemi. La gente davanti poga, quella in mezzo canticchia, qualcuno dietro continua a ballare come se sul palco ci fosse Donna Summer. Che razza di concerto è questo? Punk? Post-Punk? Pre-elettropop? La sensazione è che anche Contessa faccia fatica a capirlo. Cerca di gridare i pezzi più punk, di assottigliare quelli più recenti, di cantautorizzare i lenti suonati da solo alla tastiere, fra cui “Sparire”, probabilmente il pezzo più riuscito della serata. Il mix, dopotutto, funziona, ma la band ha una scelta da fare e non può rimandarla più. Nel frattempo il concerto va avanti, incalza. Contessa ha rivolto al pubblico qualcosa come tre parole e la sensazione e che dovremo farcele bastare: “ora un pezzo romantico”, “un altro pezzo romantico”, “adesso un pezzo vecchio”. Non il massimo della comunicazione. Finto finale ammiccante, con “Non finirà”, bis aperto da “Il posto più freddo” e chiuso da “Velleità”. Contessa la canta perfettamente immobile, perché chissenefrega se volete pogare, lui fa come gli pare. Giusto così. Poi si accendono le luci, “Lexotan” e tutti a dormire, dormire male o non dormire.
Il giorno dopo il concerto cerco su Google “I Cani e Max Pezzali”. Scopro che hanno duettato a Torino, e che l’uno è citato sulla pagina Wikipedia dell’altro. D’improvviso mi sento come Don Matteo che risolve il caso, d’improvviso è tutto chiaro! O no? Giudicate voi.
Gallery fotografica a cura di Alise Blandini