“Live fast, die young / bad girls do it well”. Facilissimo capire il senso di The Bling Ring, quando l’etno hip hop di M.I.A. ci spiega tutto della generazione attuale in poche parole.
di Isabella Parodi – Una lezione forse già assimilata con la Gioventù Bruciata del James Dean in giubbotto di pelle cinquant’anni fa, ma maturata (o sarebbe meglio dire marcita…) in un livello di trasgressione adolescenziale che ormai trascende la trasgressione tradizionale. E non si tratta di una contraddizione in termini, perché i teenagers del quinto film di Sofia Coppola (figlia d’arte ormai svezzata ed esperta fotografa di adolescenti perduti) non hanno alcuna intenzione di “fottere il sistema”, perché venerano il sistema. La teen gang ribattezzata “Bling Ring” che pochi anni fa fece scandalo sui giornali di Los Angeles si infilava di soppiatto nelle ville extra lusso delle star di Hollywood per intascarsi vestiti firmati, gioielli, soldi, occhiali da sole, scarpe, lingerie e altri generi di “prima” necessità. Fino a tre milioni di dollari di refurtiva.
Sofia Coppola li osserva distaccata, neutrale, e abbandona i tempi dilatati dei film precedenti (su tutti, il fresco ritratto pre-adolescenziale di Somewhere) per calarsi nei ritmi della chiassosa generazione usa e getta, quella del vuoto di pensiero in cui i modelli da idolatrare non sono tanto le star dello spettacolo per il loro lavoro da sogno, ma il loro stile di vita, le cose, l’eccesso, i riflettori, gli scandali. (“Mischa Barton è stata beccata un’altra volta al volante ubriaca, wow!!”)… In un’ora e mezza scarsa la Coppola dà vita a questo degenero, investendoci di una bellissima accozzaglia fatta di luci dei locali più in della City of angels, laccate borsette Birkin e tanta tanta musica al limite del trash tamarro che grazie alla colonna sonora di Brian Reitzell (evergreen della Coppola) diventa sfondo impeccabile di questa storia-lampo tristemente vera che incarna la degenerazione dilagante dei teen di oggi, portata ai suoi estremi più rivoltanti. E lo fa alternando frenetici dettagli luccicanti e musica a palla con attimi silenti, trascinati, concessi allo spettatore per dare un’occhiata più attenta alla facebook generation.
Il tutto si apre con le sporchissime e assordanti basi elettroniche di Crown on the ground del duo noise pop Slight Bells che insieme a lampeggianti titoli di testa giallo limone, fotogrammi-flash di celebrità e vedute mozzafiato dalle colline di Los Angeles ci introducono nel vortice nauseabondo del film. Un po’ come nella zuccherosa sequenza I want candy in Marie Antoinette, la Coppola decreta il dominio delle frivolezze sull’adolescenza di ogni epoca (nel ‘700 come adesso) montando tutto come in un luccicante servizio di moda. Reitzell modella il resto del soundtrack su un tessuto musicale che rimarca l’ossessione per fama e denaro, adattato perfettamente al target adolescenziale in questione: siamo ovviamente a tempo di rap e hip hop, con big come Kanye West con All of the lights e Power, ascoltati in macchina a tutto volume e l’ipnotica irresistibile Drop it low di Ester Dean e Chris Brown che accompagna un membro della gang mentre si atteggia a rapper convinto in web cam. Nella colonna sonora c’è spazio anche per le voci femminili dell’hip hop come la già citata M.I.A. di Bad Girls e Sunshine, la Venere Nera di Harlem Azealia Banks con l’electro house del successone212 e l’emblematica Gucci Bag della rapper Reema Major, direttamente dedicata agli shopaholic di tutto il mondo. E come tralasciare il fenomeno dubstep? Entra inevitabilmente in tracklist il re canadese Deadmou5 con l’ipnotica e ossessiva FML che manco a dirlo scorta la gang in una nottata di griffe, alcol e droga.
Nonostante lo schifo, la Coppola non condanna in modo evidente i suoi giovani protagonisti e pian piano la tesi della regista si fa più chiara. The Bling Ring non è né un film per teenager né un borioso giudizio dai toni anzianotti di chi guarda a priori i giovani d’oggi come una manica di perdigiorno senza cervello. I ragazzi della Coppola, un po’ come nei suoi film precedenti, non sono altro che vittime di un sistema malato, che mai come oggi dimostra di essere il peggior esempio concepibile per chiunque aspiri a un mondo più pulito dove crescere. La conferma ci arriva dalla Nicki-Emma Watson (un’insopportabile oca superficiale diversissima dalla Hermione secchiona di Harry Potter), che scontato il suo annetto di prigione riesce ad ottenere da E! Entertainment la produzione di un reality su di lei. Di che stiamo parlando allora? In un mondo dove l’essere è stato messo k.o. dall’apparire, in cui internet e i social network hanno accorciato le distanze dai VIP una volta così irraggiungibili, chi può veramente biasimarli? Alla fin fine l’idea di sottrarre qualche paio di scarpe dall’immenso armadio di Paris Hilton non suona tanto come qualcosa di illegale…