di Isabella Parodi – Inizialmente massacrato dalla critica, nel 1985 usciva l’italico-svizzero Phenomena, controversa pellicola di Dario Argento al limite tra l’horror e il fiabesco per lo più finita nel dimenticatoio. Piccolo gioiellino di filmografia dark, è forse l’ultimo vero capolavoro del padre di Profondo Rosso in grado di risvegliare incubi adolescenziali (il viso deforme dell’assassino ancora tormenta i sonni di molti) e di deliziarci con un impareggiabile estro visivo sempre a scapito della sceneggiatura, qui più che mai ridotta all’osso. Ma a chi importa? Di certo il talento di Argento non è mai stato (e mai sarà) tratteggiare personaggi complessi e mettergli in bocca frasi sensate: il suo vero genio sta nel costruire ambientazioni da incubo curate nel minimo dettaglio, nelle atmosfere surreali dei suoi lunghi corridoi deserti, nei messaggi nascosti delle trame musico-visive. Qui c’è ancora il Dario Argento D.O.C. che da più di un decennio è scomparso nel nulla e ben si colgono quei “fenomeni” mostruosi suggeriti dal titolo, che catapultano gli aficionados del genere in quel mondo a parte sospeso tra il reale e l’immaginifico scabroso. C’è come sempre tanto sangue, niente stregoneria (sbaglia chi lo ritiene una brutta copia di Suspiria) e un po’ di fantasy dagli spunti interessanti, quelli della protagonista (la sempre deliziosa Jennifer Connelly l’anno dopo di C’era una volta in America) in grado di comunicare con ogni specie di insetto, in diretto contatto con la natura incontaminata del Canton Ticino.
Questa, la vera carta vincente del film: una natura come protagonista assoluta, colta nelle sue forme più selvagge e resa immancabilmente suggestiva da una delle colonne sonore migliori della carriera di Argento. A comporre puntualmente ci sono i Goblin, non al loro top forse (difficile superare le vette di Profondo Rosso, Suspiria o Tenebre) ma che sfornano lo spettacolare omonimo Phenomena,sfondo delle scene in notturna, dove basso e chitarra più che mai scatenati si sposano con la lirica esplosiva del soprano Pina Magri.
Dolce e suggestiva anche Jennifer del bassista Fabio Pignatelli, solo parzialmente inserita nel film: melodia leggera quasi come un carillon, costellata da soavissimi fiati. Più tesi i deliri di sonnambulismo della protagonista animati dal movimentato mix di tastiere e basso diSleepwalking, anche se la vera unicità del soundtrack risiede nell’innovativa aggiunta dell’heavy metal britannico, marchiato niente meno che Motorhead e Iron Maiden, destinato com’è giusto che sia alle scene slasher e alle fughe al fulmicotone delle vittime fino al consueto scorticamento finale. D’altra parte cosa, meglio del metal, può accompagnare lo splatter rosso sangue targato Argento? Il primo omicidio in notturna nella villa abbandonata è accompagnato dalla sporca e cattivissima Flash of the blade degli Iron Maiden, vero punto di svolta mondiale delle colonne sonore del cinema del brivido, già sconvolto anni prima dagli stessi Goblin e adesso pronto ad aprirsi all’immenso filone spacca ossa ultraviolento tutt’ora in corso, dove il rock duro non è un optional, ma un dictat.
Questo è l’Argento che tutti i fan vorrebbero riassaporare, poco concettuale e creativamente folle, che libera il proprio geniale estro visivo senza per questo perdere il filo delle cose.