di Isabella Parodi – Prima di essere uno dei musicisti (e poeti) più influenti del ‘900, prima dei bed-in pacifisti, dei Beatles, di Imagine, insomma, prima di John Lennon, c’era solo un ragazzo cialtrone come altri, cresciuto in una di quelle villette a schiera sbilenche dei quartieri piccolo borghesi di Liverpool, con poca voglia di studiare, tanta confusione in testa e un vuoto crescente. Dietro agli occhialetti rotondi di John Lennon, si nascondeva un adolescente problematico, mollato fin dall’infanzia sulla porta di casa della zia Mimi da una madre negligente incapace di prendersi alcun tipo di responsabilità.
Un “Nowhere boy”, senza posto dove andare, indirizzato verso un futuro più che mai nebuloso: questo gli dicevano a scuola e a casa, e di questo parla il film dell’esordiente Sam Taylor-Wood, basatosi sul libro Imagine: Growing Up with My Brother John Lennon, scritto dalla sorellastra Julia.
All’inizio degli anni ’70 in effetti John Lennon scriveva: “Il dolore più grande è non essere amati (…) Questa mancanza di amore è entrata nei miei occhi e nella mia mente. Non sono mai stato veramente amato. Nulla mi avrebbe portato a questo se fossi stato normale…”; un tema ricorrente per lui e per i Beatles, i Fabulous Four di All You Need is Love.
Egli stesso dunque ricercava nella sua adolescenza problematica la spinta che lo portò al John Lennon che tutti conosciamo, ed è lì che il regista vuole andare a parare, non senza qualche sbavatura. Taylor-Wood cade nella pressoché inevitabile trappola che attende chiunque si proponga di tratteggiare una bio-pic sulle star leggendarie: scivola sul cliché senza per fortuna finire del tutto per terra, andando a realizzare un prodotto di qualità ma purtroppo confezionato apposta per il popolo Beatlesiano, regalando esattamente ciò che il Fan vuole.
John è interpretato da un bravo Aaron Johnson (forse un po’ troppo bello e sbruffone), giovane promessa british ancora acerba, mentre i personaggi di contorno paiono molto più a fuoco. Le due donne che si contendono il suo amore sono di fatto una l’opposto dell’altra e John, stretto in una morsa tra la fredda e severa zia che vuole farlo studiare (chi se non l’inglesissima Kristin Scott Thomas?) e l’esplosiva madre incosciente che gli può solo insegnare a godersi la vita, preferisce rifugiarsi tra le braccia del nascente rock ‘n roll, unica valvola si sfogo possibile. Sogna di diventare il nuovo Elvis, si riempie di brillantina, fa il ribelle, inizia a ri-frequentare quella stessa madre che l’aveva abbandonato con cui nasce un rapporto di odio/amore (dall’aroma vagamente edipico): sarà lei a spalancargli le porte della musica, insegnandogli gli accordi al banjo e regalandogli la prima chitarra.
Fonda così il suo primo gruppo, The Quarrymen, con alcuni compagni di scuola. Fedelmente alla storia, incontra durante un concerto il quindicenne Paul McCartney con cui oltre che dare vita ad una delle partnership musicali più importanti della storia, stringerà un’amicizia profonda e duratura, ben al di là del mero rapporto lavorativo.
E tra i primi live in alcuni piccoli locali della città, i futuri Beatles iniziano a farsi conoscere, sperimentando musica skiffle, quell’ibrido di folk USA, blues e rock ‘n roll degli albori che caratterizzò lo stile di ogni teenager inglese che iniziasse a masticare di musica.
Nel momento in cui Paul presenta a John il suo amico George Harrison, dei Beatles ormai manca solo più il nome, ma la spinta a fare il botto sarà di nuovo la famiglia Lennon: alla morte della madre, John sceglie definitivamente la sua strada e abbandona Liverpool per affrontare la prima vera trasferta del gruppo ad Amburgo.
Il film si chiude con la loro partenza e la prima registrazione di In Spite Of All The Danger, una delle primissime canzoni ancora firmate The Quarryman, conservata preziosamente nelle antologie Beatlesiane. Una canzone corretta per la conclusione di questo colorito affresco dei primi vagiti dei Beatles, divertente anche se non illuminante: aiuta a buttare un occhio, se non altro, sulla formazione dell’uomo che negli anni ’60 si sarebbe definito “più influente di Gesù Cristo” (non senza conseguenze…), una delle personalità più rilevanti del secolo scorso, grande attivista politico nonché paladino novecentesco del pacifismo e punto di riferimento per qualunque giovane che all’alba degli anni ’70 sognasse (anzi, immaginasse) un mondo migliore.
Tutto questo e molto altro in fondo già frullava nella testa di quell’adolescente bizzarro che bighellonava per le strade di Liverpool.