FUTURA 1993 X OUTsiders | Tra la provincia e Porta Palazzo: viaggio nella musica di Kamahatma

Kamahatma è l’insolito nome d’arte nato dall’unione di ‘Anima Grande’, tradotto dal sanscrito, con il suo soprannome: stiamo parlando di Andrea Camatarri, artista emergente della scena pop indipendente, che ha scelto questo appellativo particolare per fare della musica la sua vita. Futura 1993 ha intervistato Andrea per noi, alla scoperta del suo personale percorso musicale.


_di Marika Falcone

Potrebbe sembrare enigmatico e misterioso, ma il progetto di Andrea è tutt’altro. Versi chiari, emozioni dirette, suoni che nascono spontanei, la musica di Kamahatma è ‘musica da cameretta’, essenziale, mai eccessivamente elaborata e anche solo osservando le copertine dei tre singoli si percepisce tutto il suo desiderio di semplicità.

Ha iniziato un po’ di tempo fa a pubblicare su Instagram alcune cover rivisitate, registrate nella sua casa in provincia di Novara, e già in quel periodo era chiaro che molte persone si stessero interessando ai suoi lavori. Poi, lo scorso gennaio, è uscito finalmente il suo primo singolo, 123 Stella, seguito da Non mi piaci, firmando nel frattempo un contratto di distribuzione con Believe Music che pochi giorni fa lo ha così portato al suo nuovo brano: Porta Palazzo, scritto di getto a Torino, in un luogo in cui Kamahatma si è sentito inaspettatamente ‘a casa’. 

Abbiamo chiesto ad Andrea un po’ di cose riguardo la sua musica, il suo percorso artistico e molto altro: ecco cosa ci ha raccontato. 

Sappiamo che la passione per la musica ti accompagna da tanto, ma hai iniziato a farti conoscere e ascoltare solo da poco tempo. Deve esser successo qualcosa che ti ha convinto finalmente ad intraprendere questo percorso, è così?

Ho sempre suonato. A 7 anni ho iniziato lezioni di pianoforte per imitare mio fratello maggiore, per poi passare al basso elettrico, le prime cover band, la chitarra e infine la composizione. Il progetto Kamahatma, invece, è nato pian piano nella mia testa, dal 2017 in avanti. In quel periodo avevo appena iniziato a lavorare in una grossa azienda chimica della mia provincia e le giornate iniziavano ad assomigliarsi un po’ troppo. Ufficialmente, “Kamahatma” è nato solo un anno fa, dopo una laurea di un amico a Torino.

Io e gli altri invitati abbiamo aspettato il treno di ritorno delle 5.15, suonando e cantando tutta la notte col pianoforte della stazione di Porta Nuova. Sarà stato il vino, o la pioggia battente o chissà cosa, ma in quel momento ho pensato che sarebbe stato bello farlo sempre, e non più da solo nella mia cameretta, ma cercando di coinvolgere più persone possibili. Un bel modo per provare a evadere dalla monotonia.

E come hai scelto questo nome particolare?

Ho unito il mio soprannome di sempre all’appellativo sanscrito “Mahatma”, ovvero “anima grande”. Non ha molto senso, ma volevo mettervi tutti in difficoltà. Fidatevi, a furia di sbagliarlo vi entrerà in testa e non ve ne libererete mai più.

La casa di cui ci parli in Porta Palazzo, il tuo ultimo singolo, esteticamente non è il massimo che si possa desiderare, però per te ‘era bella, era bella davvero’. Sono quindi le sensazioni quello che ti porti dietro e che arriva fino a noi: cos’è che ti ha colpito così tanto di questo posto da scriverci una canzone?

In quella casa, a Porta Palazzo, alla fine ci sono stato bene davvero. Non c’era un balcone, la caldaia non rimaneva accesa, però c’era una chitarra, ed ho composto parte della canzone quel giorno stesso. Il senso è che ci si può sentire a proprio agio anche quando tutto sembra remarti contro. Alla fine è stato un pretesto per fare uno spunto di riflessione più ampio.

È il motivo per cui il titolo del pezzo è Porta Palazzo. In questa zona di Torino si tiene il mercato più grande d’Europa, ed è una delle zone più controverse di Torino. Nel testo ho messo in risalto le cose che “si sentono in giro” riguardo al posto. La verità è che mi sono sentito subito a casa, nonostante tutti i luoghi comuni. Vengo da un posto molto simile, dove la multiculturalità è un’opportunità, e ogni faccia racconta una storia. Mi piace che tutto si risolva con un “Era bella, era bella davvero”, con un sorriso che sconfigge i pregiudizi.

Quindi poca apparenza e molta sostanza: anche il tuo concetto più generale di ‘musica da cameretta’ è un po’ questo? A noi ascoltatori arrivano le tue emozioni, chiare, senza troppo artificio ed eccesso, sembra proprio di star lì a parlare con te.

“Musica da cameretta” a volte significa semplicemente accendere il microfono e registrare. Tutte le canzoni che faccio sono “bozze”, cantate e suonate nella mia cameretta rosa (che era un tempo viola, ed è poi sbiadita). Alcune canzoni vanno già bene così, per altre invece c’è un lavoro di arrangiamento da fare. Il risultato che spero di ottenere è, appunto, quello di parlare in modo diretto, senza tanti costrutti. Quando scrivo non penso alle “regole” del gioco. Di fatto 123Stella è una canzone pop senza ritornello, Non mi Piaci, invece, è una filastrocca fatta e finita.

Alcune volte, finita la parte “strumentale”, registro la voce senza aver scritto un vero e proprio testo. Seguo un canovaccio, lascio la canzone nel drive a tempo indeterminato per poi tirarla fuori al momento giusto. Per Porta Palazzo, ad esempio, ho usato la prima take di traccia vocale che ho fatto, in camera mia, proprio perchè in quella c’è la giusta intenzione.

E il tuo rapporto con la profonda provincia com’è? Anche lei, per quanto imperfetta, riesce a farti sentire a tuo agio?

Dopo tutti questi anni non riesco a capire se mi faccia sentire a mio agio o se ormai mi abbia sopraffatto. È un luogo che sa respingerti e attirarti allo stesso tempo. Sicuramente questa “profonda provincia” è ormai diventata la mia musa, quindi tanto male non farà.
Ricordo poi che quando eravamo più piccoli guidavamo fino a Malpensa ascoltando Frank Zappa, solo per poi fermarci a vedere gli aerei decollare ed atterrare. Sognavamo un futuro ovunque, tranne che qui, in mezzo a nebbia e risaie. Ora che non siamo più dei ragazzini, e gli aerei non sono più una novità, ci sentiamo incastrati. I soliti posti di sempre, con le solite facce, eppure quando ci spostiamo, chissà perché, ricerchiamo comunque un po’ di “provincia” – da qui il mio innamoramento per Porta Palazzo.
La cosa divertente è che quelli che sono andati a vivere lontano tornano durante il weekend, perché sentono la mancanza di tutto questo nulla. Forse è vero che il ragazzo può abbandonare la provincia, ma la provincia non abbandonerà mai il ragazzo.

 In Porta Palazzo abbiamo ritrovato un chiaro riferimento al grande Sergio Endrigocosa ci racconti al riguardo?

Ho iniziato a comporre “Porta Palazzo” il giorno stesso in cui mi sono trovato in mezzo a quella situazione. Il “ritornello”, chiamiamolo così, è arrivato qualche giorno più tardi. Mi ha sempre fatto sorridere questa cosa di prendere grandi classici del passato e riadattarli. Rende più leggera ogni cosa che dici. Quando mi è venuto in mente “La casa“, non mi ricordavo nemmeno fosse di Endrigo. Mi ricordavo solo che mia madre me la cantava quando ero piccolo, e mi piace questo cerchio che si chiude a distanza di molti anni.

C’è qualche altro artista che ha influenzato il tuo percorso artistico?

Ho sempre ascoltato tantissima musica, senza mai fermarmi su un solo genere. Quello che compongo è la risultante di tutte le cose che ho sentito fino ad oggi. In ogni caso, per rispondere alla domanda: Ivan Graziani.

 Come sono nate invece le canzoni che abbiamo già ascoltato, ‘123 Stella’ e ‘Non mi piaci’?

123 Stella arriva da molto lontano. La strumentale è nata nel 2017 e il testo è arrivato 2 anni più tardi. Non c’è mai stata fretta di finire un brano dietro l’altro, ma è buffo pensare di aver parcheggiato per così tanto tempo una base così valida, rischiando di perderla per sempre. Per lo splendido testo devo ringraziare Luigi Aquilino, attore e performer, oltre che ragazzo della provincia da sempre. Lui è anche l’autore del testo di Non mi piaci. Solitamente scrivo io, ma in queste due canzoni il suo apporto è stato fondamentale. Non mi piaci è nata da un fischiettio che avevo registrato mentre ero al lavoro. Una sera, fuori dalla solita birreria, l’ho fatta sentire a Gigi, e mi ha detto “Cosa aspetti?”. Mi ha dato lo spunto per finirla e registrarla in studio, e questa cosa mi ha fatto capire che la musica è condivisione.

 Immaginiamo tu abbia un bel po’ di cose in programma per il prossimo futuro…

Ho davvero molte canzoni da far sentire a tutti. Ad aprile ho firmato un contratto con Believe Music e ora sono contento che la musica sia  finalmente al primo posto.

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