L’uno e i molti di “Si chiama Andrea”

Attraverso uno stile fluido e carismatico, l’ultimo romanzo di Gian Luca Favetto, pubblicato dalla 66thand2nd, tratta un argomento dai contorni delicati:  il disturbo dissociativo di personalità.

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_di Roberta Scalise

«Ogni tanto pensava al suo nome, Andrea. Il mio nome sono io, pensava. Sono è la prima persona singolare del presente indicativo del verbo essere. È anche la terza persona plurale. E io è una parola ambigua: dentro, si nascondono in tanti. Se si nascondono bene, è difficile trovarli».

Io, noi, loro: è un rincorrersi di identità, persone e ruoli l’ultimo romanzo dello scrittore e giornalista Gian Luca Favetto, “Si chiama Andrea”, edito recentemente dalla casa editrice 66thand2nd e incentrato su una figura tanto enigmatica quanto ammaliante: Andrea Ventura.

A percorrere l’esistenza di quest’ultima, infatti, vi è una trama di incertezze, chiaroscuri e voci contrastanti, la quale concerne, in primo luogo, il suo nome: al contempo maschile, femminile, plurale. Una moltitudine, all’apparenza onirica, che, al suo presentarsi, destabilizza, incuriosisce e intimorisce la protagonista e, con lei, il lettore, invitando entrambi a volgere lo sguardo verso i meandri più celati e sotterranei del proprio essere.

Ma da che cosa è costituita questa molteplicità, che, seguendo con fiducia l’incedere di Andrea e della sua crescita, assume via via dei contorni sempre più vividi e conturbanti? Ad abitarla vi sono nomi, volti, personalità. E a viverla si apprestano i suoi “coinquilini”, ossia: Elide, donna dalla gioventù delicata attratta inesorabilmente dall’acqua e dalle sue forme; Carmen, transessuale godereccia e ardente di desiderio; la Vecchia, saggia, coscienziosa e accogliente. E poi, ancora: Villa, che registra, annota e archivia tutti gli avvenimenti; Francesco Primavera, dedito al sonno e alla sua placidità; Danton Call, con la sua irrequietezza e il suo dondolio continuo, «come una barca in mezzo al mare»; e, infine, i gemelli, distinti in Mariobianchituttoattaccato, con la sua irriverenza veemente e rabbiosa, e lo Straniero, ragazzo giudizioso impegnato ad arginare e a mediare l’irruenza del primo.

L’animo di Andrea è, dunque, un caleidoscopio di visioni, sentimenti e convinzioni, un alternarsi perpetuo di pensieri, stimoli e paure, in lei riuniti a definirne l’essenza: quella di una ragazza, prima, e di una donna, in seguito, ricolma di vita altrui, silenziosa e acuta osservatrice del mondo circostante e interiore. Una persona leggiadra e assente a se stessa, pronta, però, a delineare i propri tratti caratteristici non solo respirando, scegliendo e vendendo le case di cui è responsabile – Andrea è un’agente immobiliare –, ma anche, e soprattutto, rendendosi lei medesima casa, accoglienza, rifugio: un intrico di stanze prive di porte e rivolte a osservare il passaggio fulmineo di voci e volti, desiderosi di parlare e giudicare, attraverso i suoi gesti e le sue parole, il contesto in cui il corpo della donna è immerso.

E la narrazione è lo specchio di tale moltitudine esistenziale: quella di Andrea, dei suoi “coinquilini” e del disturbo dissociativo di personalità che ne caratterizza la struttura psichica, infatti, è una storia che richiede di essere assaporata lentamente, poco alla volta, e che dispiega il suo senso – talvolta ineffabile e labile, altre vivido e subitaneo – con tranquillità e fierezza, senza l’affanno di mostrarsi e usufruendo di cambi scenici repentini, digressioni particolareggiate, ampi salti temporali, giochi di parole e registri stilistici dissimili.

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Dando luogo, così, a una varietà di umori e riflessioni che sembra riconnettersi a quel prisma di idee, atteggiamenti e tratti specifici che delineano il carattere di ciascun individuo, le molteplici “personalità” e attitudini che, mediante la figura di Andrea, sono, però, qui condotte alla loro acme espressiva e immaginifica. Un’iperbole che, quindi, pare riecheggiare il percorso di crescita di qualsiasi soggetto, e che, proprio come nel caso della protagonista, fronteggia dapprima una fase fanciullesca e dominata dal carisma di genitori e adulti – una fascinazione che, nel romanzo, risulta particolarmente femminile, ed è esercitata sia dall’ambigua Anita, la madre di Andrea, e dalle amicizie di quest’ultima, sia dalle donne che, Andrea, la abitano –, per poi introdursi in un itinerario di scoperta e curiosità che, infine, conduce all’accettazione del proprio essere: mai uguale a se stesso, ma sempre mutevole, fluido e desideroso di un equilibrio agognato e asintotico.

La medesima accettazione cui, attraverso un percorso tortuoso e cangiante, giungerà anche l’attrice principale del romanzo, finalmente pronta ad affrancarsi e ad affrontare «i suoi fantasmi, i suoi inquilini… i suoi bambini, immaginò in un attimo di smarrimento. Tutti siamo soli al mondo con i nostri bambini, quelli che conserviamo in noi e non lasciamo andare e quelli che, ormai, rimangono avvinghiati e non ci lasciano andare. Doveva affrontare se stessa e i suoi ricordi».

E noi con lei.