Effetto domino, l’ultima partita contro il destino

Esce nelle sale italiane Effetto Domino, film di Alessandro Rossetto appena presentato alla 76ª Mostra del Cinema di Venezia nella sezione sconfini. Una discesa agli inferi di una realtà drammatica e feroce dove, girone dopo girone, si incontrano i peccati dell’uomo e le catastrofiche conseguenze di quando, nella lotta per la sopravvivenza, gli uomini si mutano in bestie.

_ di Valentina Matilde De Carlo

“Il meccanismo della catastrofe visto da vicino é di una precisione sorprendente.”

Non sempre si va al cinema per sognare, per evadere dalla realtà scivolando nel buio magico della finzione e del sogno, indossando quelle speciali lenti che ci fanno vedere la vie en rose per un po’, e che ci si appiccicano addosso lasciandoci beatamente euforici per qualche ora dopo la visione del film. No. A volte si va al cinema per prendersela come uno schiaffo in faccia quella realtà, scegliendola anche particolarmente crudele e amara, tanto da passare due ore a rigirasi nella poltrona consapevolmente infastiditi da tanta nuda verità. E’ quanto accade quando il cinema si fa messaggero scomodo di questioni sociali che, a chi da molto vicino, a chi di riflesso, a chi inconsapevolmente, ci riguardano un po’ tutti e che, naturalmente, non vorremmo ritrovare al cinema, dove cerchiamo rifugio dal reale che ci insegue.

Effetto domino è questo. Una realtà feroce, cruda, per certi versi inevitabile, una storia che non lascia scampo alla fantasia, che ci risucchia nella sua scala di grigi, trascinandoci giù insieme alle pedine che, una dopo l’altra, crollano, come nel gioco del titolo. Presentato alla 76ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Sconfini, il film del regista Alessandro Rossetto, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Romolo Bugaro, é uscito nelle sale il 3 settembre, con una proiezione speciale al cinema Multiastra di Padova, alla presenza del cast, in maggioranza veneto.

Una famosa città termale del nord-est, una spropositata quantità di alberghi e residence abbandonati, lasciati morire tra la polvere e lo sfacelo, inutilizzabili. Un piccolo imprenditore con una grande idea, un progetto audace in cui far convergere sogni e speranze di una vita, sete di successo o forse solo di una stabilità a lungo termine.

Un’idea che acceca e fagocita razionalità e cautela, che coinvolge artigiani e imprese che stanno facendo i conti con la crisi economica e che, per sopravvivere, tentano l’impossibile, come piccoli pesci che impavidi o ingenui, prendono la strada dell’oceano, diventando preda di bellissime e velenosissime meduse. E così che si accende la miccia dell’effetto domino, quel crudele e insensato gioco di potere e di denaro, colui che muove le fila di tutto e che trascina i protagonisti a giocare la loro partita impari con il destino. Burocrazia corrotta, imprenditoria marcia, banche affamate, grandi imprenditori del lontano oriente che si affacciano come squali in quell’oceano e smuovono le acque a loro favore, mentre i lavoratori di una vita si vedono crollare il terreno sotto i piedi, come crollano gli alberghi demoliti per il nuovo progetto, lasciando solo il vuoto attorno e i calcinacci dentro. Il vuoto di amici, colleghi e imprese che ti abbandonano alla tua follia, i calcinacci rotti della tua famiglia che crolla con te. Nemmeno un barlume di speranza, neanche una lucina di onestà, ma un concentrato di malvagità e potere che va a soffocare qualsiasi orizzonte di salvezza, scenario autentico e realistico di un recente passato, non del tutto passato, in cui forse l’unica, seppur debolissima, congiuntura appena visibile é quella della famiglia, quella delle persone più care che, nonostante la terribile caduta, non si limitano a guardarci torvi dall’orlo del precipizio, ma scendono giù con noi per cominciare insieme la risalita.

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Il cast di attori il regista l’aveva già collaudato nel suo precedente film, Piccola Patria, e in questa nuova storia emerge il rinnovato affiatamento del gruppo, che mescolando i ruoli del precedente copione, disegna i tratti di uno spaccato di vita sull’orlo della tragedia, mentre le musiche dolci e malinconiche, in gran parte composte ed eseguite da una delle interpreti, Maria Roveran, contrastano con il corrosivo dialetto veneto usato nei dialoghi, resi così più autentici dal suo intercalare sinuoso e dalle sue amare imprecazioni. Un film che ti lascia dentro rabbia, ma anche consapevolezza, che affronta temi dal cuore delicato e pulsante, come i ritmici movimenti delle numerose meduse inquadrate, metafora della potenza e al tempo stesso della fragilità delle azioni umane. La brama di potere, di ricchezza sì, ma anche la tenacia e la perseveranza, l’amore per il proprio lavoro e la debolezza della vecchiaia, quella fascia d’età che si sta dilatando a dismisura, invecchiando il nostro mondo a grandi falcate, mentre qualcuno prova a specularci sopra.

Non una fuga dalla realtà stavolta, ma un gelida e grigia immersione in essa, che vista attraverso una diversa inquadratura, allarga gli orizzonti, sviluppa i pensieri, rimacina i sentimenti e per quanto crudele sia tale realtà, passata tra le mani dell’arte, restituita e condivisa, fa sempre bene.

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