Tra mente e corpo: dialogo su riabilitazione e autismo con la neuropsicologa Erica Scerbo

Sono tante le professioni sanitarie che sentiamo nominare, alcune più spesso altre meno, ma delle quali sappiamo poco o niente. Cosa curano? Quanto ci si può fidare? Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato alcuni giovani professionisti della sanità, laureati da poco, per scoprire più da vicino usi e caratteristiche della loro specialità.


_ di Elena Fassio

Questa settimana incontriamo la psicologa Erica Scerbo, classe 1993, laureatasi nel novembre 2017 presso l’università di Torino in Scienze del corpo e della mente (una delle magistrali di Psicologia) e attualmente iscritta al master “Psicologo per la presa in carico della famiglia con figlio autistico e l’organizzazione di percorsi psicoeducativi per adolescenti e adulti con Asd (Autism Spectrum Disorder)” presso l’università di Genova.

 

Partiamo dalle basi: che cos’è la neuropsicologia?

La neuropsicologia è una scienza che si occupa dei disturbi cognitivi-comportamentali conseguenti a lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale. Nell’ambito delle neuroscienze cerca di superare la classica dicotomia cartesiana mente-corpo: molti studi empirici hanno dimostrato che non esistono una res cogitans (mente) e una res extensa (cervello) come entità a sé stanti. Come afferma Eric Kandel (premio Nobel per la medicina nel 2000) le lesioni del cervello producono “alterazioni del comportamento e del funzionamento mentale”.

Chi è quindi il neuropsicologo?

Il neuropsicologo è una figura che potremmo definire di confine fra la neurologia, il cui oggetto di studi è il cervello dal punto di vista anatomico e patologico, e la psicologia, la quale classicamente si occupa dell’analisi delle funzioni mentali. Il neuropsicologo è quindi un professionista laureato in psicologia che nel suo percorso di studi (attraverso tirocini, Master e Scuole di Specializzazione) colleziona competenze in ambito neuro-anatomico, neuro-biologico, neuro-fisiologico e neuro-riabilitativo.

Nella pratica esamina e valuta le funzioni cognitive e comportamentali, riconducendole ai meccanismi anatomici e di funzionamento cerebrale. Importantissima nell’accompagnamento dei pazienti è la multi-professionalità, interagendo con neurologi, fisiatri, fisioterapisti, logopedisti. Operiamo con pazienti molto diversi fra loro ma il percorso inizia sempre con un esame neuropsicologico, un articolato processo valutativo che ha lo scopo di fotografare il funzionamento cognitivo del soggetto tramite la raccolta, l’interpretazione e la sintesi delle informazioni sul suo attuale stato cognitivo.

Che cosa si intende per funzionamento cognitivo?

Comprende tutti quei processi, che nascono in sede cerebrale, attraverso cui un individuo percepisce, registra, mantiene, manipola, recupera, esprime ed utilizza informazioni per operare nel mondo che lo circonda. Tra le principali abilità cognitive ritroviamo: memoria, attenzione, percezione, riconoscimento, funzioni esecutive. Ognuna di queste abilità può coinvolgere una specifica area cerebrale, anche se, più spesso, ciascuna di esse chiama in causa un network, ossia una rete interconnessa, di regioni cerebrali.

Lesioni o disfunzioni cerebrali dovute a patologie, traumi o altre condizioni neurologiche, possono dunque interessare aree circoscritte o più vaste e, di conseguenza, riflettersi in un alterato esercizio di diverse funzioni cognitive, compromettendo, a diversi livelli, l’autonomia e il funzionamento quotidiano dei pazienti.

A chi si rivolge dunque la neuropsicologia?

Per rispondere a questa domanda occorre suddividere sulla base dell’età i soggetti interessati. Nell’età adulta parliamo di malattie cerebrovascolari (ictus ischemico, emorragia cerebrale), traumi cranici, malattie neurodegenerative (malattia di Parkinson, malattia di Alzheimer, demenza vascolare), malattie infiammatorie e demielinizzanti (sclerosi multipla), tumori cerebrali, condizioni successive ad interventi di neurochirurgia, patologie infettive (meningiti, encefaliti di varia eziologia) ed epilessia. Nell’età evolutiva invece trattiamo disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia), disarmonia nello sviluppo del funzionamento cognitivo, disturbo dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd o Ddai).

 

Hai citato l’autismo: puoi spiegarci meglio di cosa si tratta?

Il disturbo dello spettro autistico (Asd) è un disturbo del neurosviluppo che porta difficoltà a livello di comunicazione e relazione interpersonale, unitamente ad un repertorio di interessi e attività ristretto. Ad oggi, la diagnosi di Asd viene effettuata sempre con maggior anticipo, individuando anche il rischio di patologia, grazie ai risultati ottenuti dalla somministrazione del test “Ados” e dall’osservazione di gioco del bambino.

La diagnosi precoce si traduce in un intervento tempestivo, garantendo maggiori possibilità di sviluppo e di apprendimento. Tale intervento, per essere efficace, deve essere pensato e realizzato in maniera individualizzata e deve prevedere il dialogo delle diverse figure professionali coinvolte, in modo tale che tutte lavorino in vista di obiettivi comuni.

Nel panorama attuale degli approcci al trattamento dell’Asd spiccano gli interventi Ndbi (Naturalistic Developmental Behavioral Intervention), che mettono insieme le strategie delle scienze comportamentali e i principi della psicologia evolutiva dello sviluppo, con risultati significativi dal punto di vista clinico. Gli interventi non coinvolgono solo il bambino ma anche la sua famiglia (attraverso Parent Training e colloqui psicoeducativi), la scuola (tramite consulenze ed interventi diretti) e, in senso più allargato, l’intera comunità.

Parlando di comunità: come viene recepito il lavoro del neuropsicologo?

La neuropsicologia, per sua natura, svolge sia un mandato sperimentale che uno clinico, operando a contatto con i pazienti, per scopi diagnostico-riabilitativi. Essa contribuisce, nelle sue vesti sperimentali, ad incrementare le conoscenze della comunità scientifica relativamente alla funzionalità cerebrale.

Nella pratica clinica prende in carico la persona preventivamente – attraverso strumenti come la stimolazione cognitiva, che si serve di esercizi, anche supportati dalla tecnologia, per allenare le funzioni cognitive) e di intervento a carattere riabilitativo (tramite una programmazione individualizzata che agisca sulle funzioni risparmiate, vicariando quelle danneggiate, oppure che tenti di ripristinare, almeno in parte, quelle compromesse). È soprattutto quest’ultimo, quello riabilitativo, il ruolo più apprezzato, mentre è necessario dare sempre più importanza alla prevenzione e alla ricerca.

Anche nel vostro mestiere quindi non si smette mai di imparare?

Esatto, chi vuole intraprendere questo percorso deve sapere che la strada è lunga e complessa. Per diventare psicologi servono una laurea triennale e una magistrale con indirizzo specifico (Psicologia del lavoro, Psicologia criminologica e forense, Psicologia clinica e di comunità, ecc…).

Personalmente, ho deciso di dare al percorso un’impronta di carattere neuropsicologico e finiti i cinque anni ho frequentato il tirocinio annuale di mille ore all’ospedale di Asti, nei reparti di Psicologia clinica e di Neuropsichiatria infantile. Contemporaneamente ho iniziato a frequentare un master di II livello a Genova, nell’ambito dei Disturbi dello spettro autistico, che sto terminando.

Il prossimo passo sarà l’esame di Stato, il cui superamento consente l’iscrizione all’albo professionale, e, successivamente, l’iscrizione ad una Scuola di specializzazione.

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