La fotografia “discreta” di Giorgio Avigdor a Torino

In mostra nella galleria Paolo Tonin, una pregevole selezione dell’artista torinese, recentemente scomparso.

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_di Alessio Moitre

C’è una parsimonia negli scatti di Giorgio Avigdor da farti apprezzare qualsiasi condizione, mutamento, situazione, lui si sia trovato davanti. C’è tanto ma anche una mancanza di malizia che ritrovo sovente nelle fotografie di autori coevi. Reperire questa pudibonda condizione nella mostra dedicatagli nella galleria di Paolo Tonin, è un piacere davvero spontaneo. Rimango sorpreso dagli interni, spesso della casa di Montiglio. Frequento ormai da tempo quella valle chiamata Versa, in onore del fiume e le facciate delle sue case. Sono stato adottato ma se fossi stato svezzato dalle terre sotto Cocconato probabilmente non proverei la seducente condizione dell’intruso, impegnato mentre scruto i manufatti sparsi per la casa, da solo, con il proprietario assente.

Avigdor concede al curioso il pane necessario per arrivare sino al limite ottenibile dalla macchina ma non censura chi volesse indagare ben oltre. Era, Giorgio, dai racconti dei suoi sodali, parlatore abbottonato ma puntiglioso, preciso, azzeccato. Dunque possiamo congiungere i suoi termini con la pellicola perché da subito mi è parso uomo diretto, privo d’infiocchettature retoriche. Non essenziale, quello mai, ma “temperato”, invece sì. Professore dell’Accademia Albertina, viaggiatore: New York, Cannes, Milano, Montiglio, sempre Montiglio, scenografia stratificata e appartata.

C’è stata la moda, le vie di Torino (celebri i suoi anni settanta), i ritratti, le strade americane. Dimentico pezzi volutamente rammentandomi la differenza tra un fotografo ed un ricercatore, categoria quest’ultima a cui, per me, Avigdor apparterrà per sempre, ancor di più dal 25 marzo del 2019, data della scomparsa.

La mostra rimarrà aperta sino al 28 giugno.