[REPORT] Mòn: il sofisticato equilibrio del sogno

Continua la rassegna Loud edita da Blow Rock all’interno di Zo, storico locale del catanese. A questo giro tocca ai Mòn, band romana che ha da poco pubblicato il suo secondo album, Guadalupe.

_di Raffaele Auteri

Ad attendere il quintetto capitolino vi è una sala gremita, un pubblico giovane, affamato di musica, che viene scaldato a dovere dal live in apertura dei concittadini A Lemon: indie pop con sfumature psichedeliche, tappeti di synth e melodie orecchiabili che ci fanno entrare nel miglior mood concertistico.

Arriva la mezzanotte e i Mòn si lanciano sul palco. Il concerto parte abbastanza in sordina. I primi brani, più lenti e di ambiente, cominciano a creare confidenza col pubblico, ammaliato dalle melodie dei synth e dallo splendido incrocio delle voci di Rocco Zilli e Carlotta Deiana. Pian piano i synth lasciano spazio all’incredibile chitarra di Michele Mariola: ritmiche sopraffine, di chiaro stampo Foalsoniano, che conquistano l’egemonia delle canzoni, alternando brani più energici e dinamici, a melodie e arpeggi dolci e avvolgenti, premendo continuamente su dinamiche mai banali e, anzi, in continua evoluzione nel corso del concerto. Il basso di Stefano Veloci crea, nel frattempo, una coperta accogliente che ci trascina dentro questo sogno perpetuo mascherato da concerto. Menzione d’onore per la batteria di Dimitri Nicastri, colonna portante dell’intera esibizione. Non si riescono a contare i numerosissimi tocchi con cui fa risuonare ogni singolo tamburo e piatto del suo set, alternando fraseggi saltellanti in levare a ritmi sudamericani che scatenano un ballo compulsivo su tutta la platea.

I Mòn, infatti, dopo un primo disco (Zama) molto incentrato su un indie pop/post rock di gran gusto, dinamico e dolce allo stesso tempo, hanno esplorato con “Guadalupe” uno stile compositivo raffinato, che si affaccia molto più sul jazz, restando comunque ancorato a una forma canzone mai banale e sempre attiva, dinamica e prorompente.

Le continue esplosioni ci stendono, canzone dopo canzone, lasciandoci a bocca aperta per l’indubbia tecnica e abilità di cinque ragazzi giovani, che suonano con la maturità di musicisti affermati. Costantemente avvolti da questa patina dolce e introversa, i due cantanti si ritrovano accerchiati da una miriade di suoni prorompenti e potenti, creando un contrasto visivo e uditivo che conquista tutti.
Sebbene in alcune canzoni sembra di ascoltare davvero i figli dei Foals, i Mòn stanno, pian piano, trovando una propria scrittura musicale più personale e, forse, addirittura più interessante di quella della band inglese.

Un concerto splendido, in cui il gruppo non si isola mai, ma cerca continuamente di creare (riuscendoci alla grande) un canale comunicativo con la platea, totalmente ipnotizzata, rapita, nel viaggio che parallelamente si crea nella nostra testa. Totalmente borderline, i Mòn si muovono con la grazia di un equilibrista su una linea sottilissima, mostrandosi, allo stesso tempo, attraenti e sfuggenti, semplici e complicati, accessibili e indecifrabili, come quei bellissimi sogni che fai quando vai a letto felice