Cuore di tenebra alle OGR: indagine anatomica di una società in bilico

Dal 1 febbraio al 19 maggio il Castello di Rivoli “invade” il Binario 2 delle OGR per una mostra che si pone una domanda fondamentale: Può l’arte prevenire gli errori?


_di Giorgio Bena

Tredici artisti da tutto il mondo e tredici opere per indagare il presente, il passato ed il futuro alla ricerca di risposte poetiche e creative all’irrazionale brutalità della società umana: Marcella Beccaria, capo curatore e curatore delle collezioni del Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli, costruisce all’interno delle OGR uno spazio di riflessione in cui il dialogo tra luce ed oscurità non è soltanto un fattore museografico, ma estetico nel senso più ampio del termine.

Performance, scultura, fotografia, pittura, film e installazioni multimediali e sonore provenienti – per la maggior parte – dalle acquisizioni della Fondazione CRT ci raccontano di passati solo parzialmente perduti e di scenari futuri possibili, in stretto dialogo con le idiosincrasie e la brutalità dell’oggi.

Un vero e proprio cuore di oscurità che pulsa nel profondo del nostro sistema globale, alimentato dal flusso costante della violenza della guerra e dei fanatismi e dalle discriminazioni sociali (di razza o di classe), ma anche e soprattuto dall’ingenua superbia con cui l’uomo vive il proprio rapporto con la natura da un lato e con la tecnologia dall’altro, senza apparentemente soppesare con attenzione i rischi del proprio agire.

È proprio la violenza il filo conduttore di questa mostra, o meglio la riflessione sulla violenza stessa nelle sue origini, nelle sue conseguenze – reali e ipotetiche – e nelle sue possibili soluzioni.

È la violenza compiaciuta e perversamente ludica dell’uomo sull’uomo per esempio il fulcro dell’opera di Maurizio Cattelan (Senza titolo,1999), che rappresenta la simbolica crocifissione del proprio gallerista Massimo De Carlo durante la performance A Perfect Day, che causò al gallerista stesso complicazioni respiratorie magistralmente catturate nello scatto che documenta l’atto.

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Una proposta di sincretismo (questa volta senza genocidio), (2018) di Maria Thereza Alves riflette invece su un futuro distopico -ma non utopico-  in cui una I.A. gestisce alcune colture destinate alla produzione di energia che in parte alimenterà il suo stesso funzionamento: uno scenario di brutale cannibalismo in cui il rapporto tra la macchina e la natura è quasi genitoriale, ma si risolve con la necessità della “madre” di dominare i suoi “figli” e cibarsene, al servizio di un padrone più potente – l’uomo – insensibile a questo atipico rapporto filiare, all’anima della macchina.

La violenza della storia, che gli occidentali hanno scritto secondo le proprie regole oscurando ogni altra prospettiva, è protagonista di Cabaret Crusades: The Secrets of Karbala (Wael Shawky, 2015), opera filmica – parte di una trilogia – che racconta l’epopea delle crociate dal punto di vista arabo.

Il vero capolavoro della mostra è però a mio avviso Trepanaciones (Sonidos de la morgue), (Teresa Margolles, 2003), audio-installazione che documenta con drastico realismo grazie ad uno splendido lavoro di enfatizzazione sonora le operazioni di frattura, trapanatura e segatura delle ossa necessarie durante un’autopsia. Tramite quest’opera, che vuole porre l’accento sulla incessante violenza criminale che nella terra di origine dell’artista, il Messico, è alimentata dall’industria del narcotraffico, l’artista riporta il concetto di violenza ad una dimensione di terribile pragmatismo, che lo svuota di ogni vaga eco estetica e lo trasforma in una disturbante esperienza che benché sonora riesce a sublimare in un’illusoria sinestesia tattile.

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Questi sono solo gli episodi salienti di una mostra che, attraverso punti di vista differenti per cultura, intento e medium, tenta un “intervento a cuore aperto” sull’anima più oscura della nostra società, su quel cuore di tenebra che con il suo incessante pulsare grava sulla vita dell’individuo e influenza le prospettive di progresso.

Ritorna strettamente attuale la domanda che il sottotitolo stesso della mostra ci pone e sembra porre a tutta la comunità creativa globale, con un’attitudine in bilico tra la rassegnazione e la speranza: può l’arte prevenire gli errori?