[INTERVISTA] Gabriele Diverio: “Il gLocal Film Festival è più di una rassegna, fa rete e scouting”

La diciottesima edizione del gLocal Film Festival è alle porte: abbiamo fatto una chiacchierata con il direttore Gabriele Diverio, per parlare della storia di quello che si configura come un “festival-vetrina” per le produzioni piemontesi, per analizzare la situazione dell’undeground sabaudo e raccontare alcuni dei prodotti nostrani “da esportazione”. 

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_di Lorenzo Giannetti

6 giorni di festival e 59 titoli: dopo aver letto la nostra intervista a direttor Diverio, segnate in agenda tutte le proiezioni del gLocal Film Festival, dal 5 al 10 marzo al Cinema Massimo di Torino. Madrina d’eccezione: Stefania Rocca. Clicca qui per il programma completo.

Partiamo proprio dal traguardo dei 18 anni: un numero davvero importante per qualunque realtà (in questi tempi difficili), a maggior ragione per chi come voi ha sempre lavorato come “incubatore”, in una “terra di mezzo” diciamo, fungendo da vetrina per progetti underground. Proviamo a tracciare/segnalare almeno un tris di fasi/momenti decisivi che vi hanno condotto fino alla maggiore età? 

2000: nasce a Moncalieri Piemonte Movie, associazione con la mission di valorizzare, con appuntamenti ad hoc la produzione cinematografica piemontese che, all’epoca, iniziava a muovere i primi passi sul territorio con produzioni nazionali e internazionali grazie all’attività della neonata Film Commission Torino Piemonte

2008: la rassegna si sposta su Torino e introduce il concorso Spazio Piemonte, ereditario della vecchia Anteprima Spazio Torino che il Torino Film Festival ha deciso di non proporre più nel proprio programma. Nella squadra di Piemonte Movie entrano a far parte giovani appassionati di cinema provenienti dall’università e si rafforzano i legami con il Museo Nazionale del Cinema.

2017: il festival, che prende il nome di gLocal Film Festival, si sposta al Cinema Massimo, cuore del cinema torinese e va a perfezionare la propria struttura con la valorizzazione dell’altra sezione competitiva Panoramica Doc, degli omaggi e dei focus speciali.

Quali sono, oggi, le grandi differenze rispetto agli esordi? 

Da rassegna che si proponeva di mostrare tutto ciò che veniva girato in Piemonte, il gLocal è diventato un vero e proprio festival che fa scouting di giovani talenti, seleziona solo il meglio della produzione e crea eventi speciali dedicati ai professionisti che sono collegati al Piemonte. Inoltre, grazie all’attività nelle province della regione, l’associazione Piemonte Movie riesce a dar visibilità ai film che presenta in marzo a Torino.

“Cortometraggi e documentari indipendenti” vengono definiti come “cinema invisibile”, nel senso ovviamente di realtà con meno visibilità: ti chiediamo allora di darci una mano a capire meglio la situazione di questi due “generi”, attualmente, in Italia. Ad esempio, a livello di respiro/appeal internazionale (ma anche di produzione etc) a che livello si trovano rispetto al cinema nostrano inteso come lungometraggi? 

La situazione non è delle migliori, ma forse, rispetto a qualche anno, fa possiamo essere più ottimisti per il futuro. Non tanto per quanto riguarda i cortometraggi che, si può affermare tranquillamente, vivono solo all’interno dei festival e in pochissimi passaggi Tv, quanto per i documentari.
Negli ultimi anni i documentari arrivano spesso in sala, anche se per serate evento e per pochi giorni di programmazione e, alcuni di essi, riescono ad avere visibilità anche in televisione, con qualche passaggio (ma quasi mai in prima serata). Il pubblico si sta dimostrando sempre più interessato a questa forma di cinema e credo che il merito sia anche di festival come il nostro, che da tanti anni, equiparano il documentario a un classico film.

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Tra gli ospiti di questa edizione ci sono Umberto Spinazzola e Eugenio Allegri: mi pare un segno della volontà di non concentrarsi unicamente sulla “sala buia”, ma di guardare anche a televisione e teatro, come parte di un unico apparato. 

Abbiamo definito questa edizione POP, proprio per questo motivo. Sono tanti gli appuntamenti che mettono in collegamento il cinema ad altri arti quali tv, teatro, letteratura e musica. Del resto il cinema, per propria natura, le raggruppa tutte, no? Ecco quindi le serate dedicate a Spinazzola e al suo MasterChef, ma anche a Beatrice Arnera che, tra cinema e tv, sta costruendo la propria carriera; Allegri presenterà La straniera, uno dei tanti film che lo vede in un ruolo da comprimario, in attesa che il cinema si accorga del suo grande talento e gli consegni una sceneggiatura da protagonista assoluto; e poi ancora presentazioni di libri (Carlo&Enrico Vanzina Artigiani del cinema popolare di Rocco Moccagatta) e momenti di live performance musicali (Morino canta Tenco, la sera della chiusura del festival) a completare la nostra offerta.

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Ho assistito a quello che in qualche modo si configura come un “passaggio di testimone” di Seeyousound (che a sua volta lo aveva ricevuto da Fish & Chips). Emerge una “galassia cinematografica torinese” piuttosto variegata e, pare, con molta voglia di collaborare e dialogare. Come “leggi” questa situazione?

La scena dei festival torinese è una delle più attive di tutta Italia e siamo orgogliosi di farne parte. Siamo tutti festival indipendenti – non gestiti e organizzati dal Museo Nazionale del Cinema – è normale che ci si aiuti e si cerchi di far rete, soprattutto in un momento storico così delicato per quanto riguarda la cultura e le risorse ad essa dedicate. Nel programma del gLocal ci sono ben 10 gemellaggi, tra festival amici e realtà associative con cui collaboriamo da tempo: un segno evidente della nostra volontà di costruire qualcosa tutti insieme, valorizzando le specificità di ciascuna realtà.

Nel programma avete ben 6 anteprime, 2 delle quali addirittura assolute: cosa puoi anticiparci in merito? 

Sì, quest’anno la sezione Panoramica Doc è riuscita ad abbinare la qualità sempre offerta, all’esclusività. Ci tengo a sottolineare che il nostro festival non impone l’anteprima come requisito essenziale per essere accettati in gara, ma ovviamente ci lusinga quando riscontriamo che le produzioni scelgono il nostro festival per presentarsi al pubblico per la prima volta. Le due anteprime assolute sono Waiting (sabato 9, ore 20.30) di Stefano Di Polito, un doc che racconta l’attesa del saggio per un gruppo di bambini della scuola più multietnica di Torino, e Any Step is a Place to Practice di Enrico Salmasi e Gabriele Maffiodo (sabato 9, ore 22.00), film con protagonista Andrea Loreni, che riflette sulla meditazione zen come strumento per entrare in armonia con gli altri.
Come anteprime regionali abbiamo: lo sport come mezzo di riscatto in Butterfly di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman (mercoledì 6, ore 20.30); il mito della tradizione sarda torna attuale e invita a riflettere su temi centrali della nostra esistenza in Sa femina accabadora. La dama della buona morte di Fabrizio Galatea (giovedì 7, ore 19.00); la scuola come luogo di incontro e di conoscenza per future generazioni consapevoli in Scuola in mezzo al mare di Gaia Russo Frattasi (venerdì 8, ore 19.00); la Storia dell’Italia incrocia il presente del Mediterraneo e il futuro del nostro mondo in My Home, in Libya di Martina Melilli (venerdì 8, ore 22.00). 

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Concludo con un “giochino”: vorrei chiederti di selezionare/consigliarci tre (o più) prodotti cinematografici torinesi che secondo te si possano definire – nell’immediato – “da esportazione”. 

È sempre difficile scegliere quando l’offerta è così ampia e di livello! Per amor del gioco rispondo: Butterfly perché, tramite il linguaggio universale dello sport, parla delle insicurezze di una giovane ragazza e mostra anche uno spaccato della nostra Italia; il corto Bavure di Donato Sansone, autentico genio dell’animazione nostrano, perché è un film breve che non ha nulla da invidiare alle produzioni che vincono i premi più importanti in tutto il mondo; concludo con Helikon, webserie prodotta dalla torinese Grey Ladder, per la regia di Taiyo Yamanouchi, che abbiamo avuto il piacere di presentare in anteprima assoluta durante Too Short to Wait, perché ha respiro e narrazione internazionale, degna di una produzione alla Netflix.

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