Note di champagne e gocce di Charleston: Scott e Zelda in scena a grandi sorsate

“L’ULTIMO WALZER”. Scott Fitzgerald e Zelda Sayre: La coppia d’oro dell’età del Jazz! ha debuttato, nei giorni 26-27-28 dicembre sul palcoscenico del CineTeatro Baretti: ve lo raccontiamo in una manciata di impressioni.

_ di Beatrice Brentani

Alessia Olivetti, Andrea Murchio, Guido Ruffa e, al pianoforte, Sergio di Gennaro: questi i nomi degli attori dello spettacolo che ha debuttato per tre diverse serate al CineTeatro Baretti di Torino. Andrea Murchio, che è anche sceneggiatore e regista dello spettacolo, nei panni di Scott Fitzgerald, e Alessia Olivetti, nel ruolo della bellissima Zelda Sayre Fitzgerald – un’azzeccatissima flapper dall’abito rosa pallido satinato -, hanno ballato sulle note della musica jazz la storia della loro passione fino a sgretolarsi le radici: l’amore dell’Ultimo Walzer non consuma le scarpe, ma il respiro. E qui, i due personaggi sono stati rappresentati a tutto tondo: aperti e studiati tutti i loro vizi e le loro virtù, le debolezze e i punti di forza – in Midnight in Paris, Woody Allen aveva mostrato solo una facciata della coppia, quella dei riflettori, appunto, degli sfarzi e della joie de vivre. Qui, invece, l’amor fou, con tutte le sue corde più dolenti.

Sergio di Gennaro ha suonato dal vivo le grandi melodie dell’epoca, da da Gershwin ai grandi classici del jazz delle big band degli anni ‘20, capeggiate da Duke Ellington o Cab Calloway, la frenesia del  Charleston, il Fox Trot.
Una scena che non dimenticheremo:
Zelda in primo piano mentre balla proprio lui, il Charleston. Una fascia di paillettes a incorniciarle la fronte e un boa di piume nere lungo il collo. Il Grande Gatsby di Luhrmann ha messo a confronto, con quella, la sua scena della fastosissima festa a casa di Gatsby – ve la ricordate? Cascate d’acqua nel disimpegno, fiumi di champagne e una Bang Bang di will.i.am a scaldare le gambe – e si è stropicciato gli occhi dallo stupore. Subito è corso a riavvolgere la sua pelle di pellicola: “va bene”, si è detto, “riprendiamo le fila del discorso. Coinvolgiamo anche noi, ora?”.

Qui però stiamo parlando di teatro, non di cinema: e, si sa, il teatro possiede una dimensione in più. Ti fa “stare” sul palco, e non dietro a uno schermo. Ti fa “essere parte di”.
E siamo stati parte di ogni cosa: il ballo tra Scott e Zelda durante la sera del loro primo incontro in Alabama, i primi anni di gioia, feste (e fasti) a New York, il loro progressivo… Spegnersi, dopo le luci e le danze di una Parigi in piena estasi, mentre Scott s’accendeva sempre più come scrittore. Incendiava di frenesia alcolici e macchine da scrivere, perso nel delirio che il denaro scatena nell’instancabile che  continua a cercare di più, sempre di più, per mantenere il tenore di vita di chi, abituato all’agio, si distrugge l’animo tra gli sfarzi. Da qui, le pubblicazioni che lo resero famoso: “Di qua del Paradiso”, “Belli e dannati”, “Il grande Gatsby”, e la rovinosa caduta negli anni successivi, col crollo delle vendite.

E poi, Zelda: così esuberante, così fragile. La noia se la mangiava, il fou rire l’assediava quando sentiva i nervi crollarle. Convinta di non essere nulla senza Scott, in realtà così essenziale. Insicura ma necessaria, spina vitale per l’ispirazione del marito. L’abbiamo seguita in ogni suo umore, passeggiandole accanto quando lei sedeva tranquilla, a fianco di Scott, durante le loro interviste. Zampettando con lei a ritmo di musica. Abbiamo sentito anche noi, quelle voci. Ci martellavano nella testa. Siamo stati lei, a casa e nelle cliniche in Svizzera, ma siamo stati anche Scott – abbiamo vissuto entrambe le ragioni. Siamo stati lo psichiatra di Zelda, sul palco interpretato da Guido Ruffa: quella piccola ma importante lampadina di raziocinio che ogni tanto, pim!, ti s’illumina nella testa. La voce della coscienza.

Ma cosa è coscienza vera? Chi stabilisce cosa è giusto immaginare e cosa – o chi – è pazzo, o malato?

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Un’interpretazione originale, una scenografia minimal e, proprio per questo, adatta a ogni cambiamento di scenario e in grado di far risaltare sempre, per primi, gli attori. Un pianoforte suonato sullo sfondo, in nero. Appesi, sulla parete centrale, alcuni pannelli su cui sono stati proiettati video reali: l’annuncio dell’armistizio, i balli a New York, le feste “ruggenti” degli anni ’20. Quegli stessi pannelli, altre volte, erano accesi per creare giochi di luce e contrasti cromatici conformi alle scene: rosso di odio, rabbia e tensione, ma anche di passione; bianco di purezza e ingenuità, amore bambino; e mille sfumature sgargianti di sfarzo, balli e vite sublimi.
Voci fuori campo e canzoni interpretate invece, sul campo: Andrea Murchio ha cantato anche dal vivo. Una lieve serenata per il suo folle, folle amore. La sua voce suonava come suonavano i tacchi di Zelda, sul pavimento del palco, quando ballava, piena di brio, davanti ai suoi occhi. E ai nostri.

 

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