“Ash Is Purest White”: un dramma del non-ritorno

Il Presidente di giuria TORINO 36 Jia Zhang-ke, a lungo “corteggiato” dalla direttrice del TFF Emanuela Martini, ha presentato il suo ultimo film fuori concorso, insieme all’attrice e compagna Zhao Tao. Un’opera di ampio respiro, che ritrae le metamorfosi di un rapporto in relazione alla geografia di una Cina sconosciuta. Ash Is Purest White arriverà nelle sale italiane a gennaio.

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_di Alberto Vigolungo

2001. A Datong, una città dello Shanxi settentrionale, due giovani fidanzati sono inseriti nella rete di una delle tante bande che controllano il racket locale. Bin ne è il capo, Qiao la sua ragazza, rispettata da tutti i membri della gang per la sua risolutezza e per la sua fedeltà al codice dello jianghu. Tutti i giorni Qiao, che vive in un villaggio rurale con il padre, si reca a Datong per incontrare i suoi in un locale dove si gioca d’azzardo, si pratica l’usura, si tengono riti di affiliazione e alla sera si balla al ritmo di YMCA sotto luci  anni ’70.

Il loro piccolo regno inizia presto a vacillare, dietro all’avanzata di agguerrite gang di ragazzini:  Bin è vittima di una violenta aggressione, sotto gli occhi della compagna. Gli autori dell’agguato vengono subito catturati e mandati a cospetto dell’uomo che, dopo averli costretti alle scuse, li lascia andare. Ma la rovina è ormai avviata: poco dopo mister Eryong, pezzo grosso della mala locale e “tutore” di Bin, viene assassinato. Una sera, mentre viaggiano a bordo di una berlina per le vie della città, Bin e Qiao sono affiancati da una banda di ragazzi in moto che infine li accerchia, costringendoli a fermarsi in una piazza: nella rissa che segue, l’autista è ucciso e Bin è presto sopraffatto dagli aggressori, dopo essersi difeso con coraggio. Solo l’intervento di Qiao lo salva, quando la ragazza decide di scendere dall’auto e di sparare due colpi a salve, mettendo in fuga la banda. Ma nel frattempo la polizia accorre sul posto e Qiao finisce in manette. Le vite dei due si separano e la giovane sconterà in carcere una pena di cinque anni.

2006. Terminata la sua condanna, Qiao si mette in viaggio verso la zona delle Sette Gole, dove scopre che l’ex compagno ha ricominciato una nuova vita: Bin ha lasciato lo jianghu e si è fidanzato. Preso atto della sua scelta, con dolore, e non senza avergli rinfacciato la sua salvezza, Qiao abbandona la regione e fa ritorno nello Shanxi, viaggiando in treno per migliaia di chilometri.

2018. Venendo a conoscenza dell’imminente ritorno di Bin a Datong, Qiao si reca alla stazione ferroviaria: nel silenzio surreale di un luogo deserto, la donna ritrova l’unico uomo che ha amato su una sedia a rotelle. Fedele all’antico sentimento che la lega a lui, Qiao tenta di confortarlo e lo riporta nella comunità jianghu, dove viene però accolto tra la diffidenza generale e vecchi rancori. Un mattino d’inverno, la donna scopre che Bin se ne è andato.

Introdotto in conferenza stampa di presentazione come “summa” dell’opera di Jia Zhang-ke (già alla regia di Al di là delle montagne 山河故人, Platform 站台,e Still Life 三峡好人, premiato con il Leone d’Oro a Venezia nel 2006), Ash Is Purest White è in effetti un film complesso, ricco di spunti, che, basandosi su uno sviluppo assolutamente lineare, cavalca generi e registri rivelando la maestria di un grande autore. Mantenendo al centro/saldo/fissando il dramma di una donna e del suo compagno di vita, la cui relazione evolve con la stessa velocità che caratterizza le trasformazioni di un Paese in crescita continua.

Si distinguono tre capitoli, ciascuno indicato da date precise che emergono nel corso della narrazione: 2 aprile 2001, 29 settembre 2006, 1 gennaio 2018. Quasi a voler sottolineare il carattere filologico dell’operazione, uno scavo nella consapevolezza di due persone che si sono amate e che il tempo ha separato senza possibilità di appello. Il primo di questi tre capitoli ricostruisce il contesto in cui si sviluppa la loro storia come individui e come coppia: i sobborghi di una città industriale sorta nella campagna dove Qiao è nata e vive con il padre indigente, territori nei quali legalità e crimine vivono in un equilibrio precario. Jia dipinge le dinamiche di un mondo sommerso con uno stile fluido, calando i protagonisti della storia nella comunità di cui fanno parte e definendoli innanzitutto in relazione ad esso. Il lungo movimento di macchina iniziale che segue la ragazza nel retro del locale in cui i membri dello jianghu si riuniscono rientra proprio in quest’ottica, sostenuto da un sonoro rumoroso, fatto di sghignazzi, battute sguaiate e voci da altoparlanti.

In questo mondo “sotterraneo e sconosciuto” (così il regista definisce la realtà dello jianghu, rimarcando una dimensione che poco o nulla ha a che fare con le “organizzazioni mafiose, strutturate” che si vedono in tanti film di gangster hongkonghesi, per esempio, ma anche con lo yakuza giapponese più basso), dominato da uomini  pronti a tutto, la personalità di Qiao Qiao emerge fiera e determinata. Un carattere che, come ha spiegato l’attrice Zhao Tao, è frutto di un percorso di cambiamento radicale:

Piano piano, con le esperienze, con quel che ha vissuto, da ragazza tranquilla “della porta accanto”, Qiao è diventata una donna da jianghu, una donna tosta, una donna dura. La sfida più importante, per me, è stata interpretare questo cambiamento…

I due personaggi non possono vivere la loro relazione al di fuori di questo luogo, che si lega così fortemente alla loro identità e che determinerà la loro separazione, i cui segni si manifestano con intensità sempre maggiore: nell’episodio in cui l’uomo consegna la pistola a Qiao si parla di una cenere che è “pura”, alludendo ad un processo di trasformazione che coinvolgerà le loro esistenze, e anticipando così  il turning point della vicenda. Tanto più vivono la loro relazione, tanto più si svela il destino di una rete criminale minacciata dall’avanzata delle nuove leve. Il senso di uno stravolgimento radicale negli equilibri è riassunto implicitamente nel personaggio di mister Eryong, che vedendo ballare dei giovani in una discoteca, in compagnia di Bin, si confessa con un velo di stanchezza e di nostalgia. “Mi interessano solo più i documentari sugli animali e i balli da sala”, dice, poco prima di essere ucciso. Dall’assassinio di mister Eryong in poi i timori di Bin non fanno che crescere, anche se la fine della sua stagione si concretizza prima ancora che lui e Qiao se ne siano resi conto per davvero.

L’epilogo della prima parte del film sancisce questa “frattura”. La sequenza dell’assalto notturno alla macchina, con relativo combattimento corpo a corpo a base di sangue e calci rotanti, ricalca gli stilemi più ricorrenti del gonfu movie, senza mancare di veri e propri “tocchi” d’autore, sia nella costruzione delle immagini (il dettaglio del cofano rigato da gocce di sangue è degno del Tarantino di The Hateful Eight), che nella significazione dei suoni (il rumore generato dai colpi inferti alla testa di Bin sulla lamiera dell’auto, che spinge la donna ad intervenire, ritornerà nel corso del film).

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La scena di transizione, che mostra Qiao in carcere, prepara ad un capitolo centrale in cui il cambio di registro è subito evidente. Il viaggio del personaggio interpretato da Zhao Tao a bordo di un battello in una regione remota, è rappresentato nella prima sequenza da tempi più dilatati che compongono un ritmo chiaramente distante da quello che aveva scandito la prima parte di film.

Accanto a questo cambiamento nei tempi della narrazione si fa strada la dialettica tra figura e spazio, che caratterizzerà l’approdo di Qiao nella cittadina lacustre dove il compagno di un tempo si è trasferito: la macchina da presa oscilla continuamente tra la folla e l’individuo, tra l’imponenza di una città “tutta gradini” che si arrampica sul versante di una montagna e l’ostinazione di una donna sicura della sua missione: ritrovare Bin, comprendere le sue intenzioni, cinque anni dopo il drammatico evento che li aveva separati. Impresa tutt’altro che scontata, che spinge la protagonista a dar fondo al suo mirabolante repertorio: si rifocilla ad un banchetto di nozze all’aperto spacciandosi per un’invitata, “scrocca” denaro ad un giovane venuto a festeggiare con amici e parenti in un hotel anonimo, ruba il motorino ad un ingenuo operaio che intende approfittarsi di lei. Finalmente Qiao avrà il confronto desiderato, ma non potrà che constatare i cambiamenti nella vita di Bin. La conversazione è resa attraverso una serie di piani a due che si estendono per una certa durata, in cui la distanza tra i due personaggi è sottolineata da una messa in scena giocata sul conflitto tra movimento e staticità, con l’uomo che si muove lentamente nella stanza, percorrendola in tutta la sua ampiezza, e la donna seduta sul letto.

La seconda parte del film, incentrata sul lungo viaggio di Qiao alla ricerca del suo amore in un Paese sconosciuto, è impostata dal regista in termini spaziali, affiancando al melodramma il ritratto documentaristico di una Cina rurale e selvaggia: la regione delle Sette Gole, la sconfinata steppa attraversata dalla ferrovia durante il ritorno a Datong, a più di settemila chilometri di distanza. La complessità della sua ricerca è così messa in stretta relazione con la geografia di un Paese vastissimo.

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L’ellissi temporale che introduce l’ultima parte di Ash Is Purest White segna il ritorno al background sociale che aveva contraddistinto la vita di Qiao e Bin insieme, e che fa ancora parte del presente della donna. L’ex capo della banda jianghu è di nuovo a Datong, ma non si sa nulla dei motivi che l’hanno spinto a tornare e le domande di Qiao non trovano risposta. Teatro della loro incomunicabilità diventa così un gigantesco stadio in costruzione, nel quale vediamo lei spingere la carrozzina di un uomo consumato dalla rabbia e dal rimpianto: le due figure si muovono in un desolante campo lungo, i cui margini sono tracciati dalle strutture verticali dell’impianto.

La storia dei due protagonisti può essere interpretata come il tentativo di un ritorno al passato, che per Bin significa ritrovare la serenità di un ambiente familiare, per Qiao essere di nuovo vicina all’uomo amato: non esita un istante quando lui si presenta alla stazione. Il loro dramma consiste nella scoperta dell’impossibilità di questa operazione. L’allontanamento volontario di Bin ne è una conseguenza, ma è ancora sulla figura di Qiao che il film si sofferma: a lei è dedicata l’ultima inquadratura, contrassegnata da una carrellata ottica in avanti che si sofferma sulla sua figura sfocata riprodotta su uno schermo, il capo reclinato forse in un pianto.

Il tema del non-ritorno, di un tempo fuggito e del quale non è più rimasta traccia nella realtà, dominante nel film, è direttamente legato a quello del cambiamento, che nel cinema di Jia Zhang-ke è sempre irreversibile. Tema, quest’ultimo, che il regista cinese pone al di sopra di ogni altro, fin dall’inizio della sua carriera:

In questi vent’anni mi ha sempre affascinato il tema dei cambiamenti e della loro percezione nella società, nei rapporti umani. In “Platform” e “Still Life” raccontavo questi cambiamenti in uno spazio, oltre che nella società. Nel mio ultimo film ho pensato di utilizzare un’ambientazione un po’ particolare, quella dello jianghu, per raccontare lo stesso tema: i rapporti, la tradizione. Ho soltanto cambiato l’ambientazione.

Ash Is Purest White conferma Jia Zhang-ke come cineasta di, per la sua capacità di illuminare, con sguardo penetrante, le trasformazioni di una relazione in un paesaggio che cambia. Un paesaggio poco noto, ma che reca nei suoi segni la storia di un Paese sospeso tra modernità e tradizione. La compagnia Cinema ha pensato bene di aggiudicarsi i diritti di distribuzione in Italia di un’opera passata quest’anno al Festival di Cannes e al Toronto International Film Festival: l’appuntamento è per gennaio.

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