Cinque giochi da tavolo da regalare a Natale

Qualche idea ludica su cosa regalare un po’ a chiunque, senza svenarsi e donando sia un oggetto che un’esperienza. La tombola che tira fuori vostra madre dopo il pranzo del 25 ha rotto un po’ a tutti: potete essere parte della soluzione e noi di OUTsiders cerchiamo di darvi una mano a esserlo.

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_di Giovanni Bersani

“Che cosa ti ha regalato la tua ragazza quest’anno? Non un’altra sciarpa, spero”.

“Ma perché devo continuare a regalare libri fantasy di dubbia levatura letteraria al figlio di mia sorella?”

“La parte peggiore del capodanno non è pulire, è Bartaddeo che la mattina propone alla compagnia in hangover quel cazzo di Monopoly che chissà da dove salta fuori, tutti i santissimi anni”.

Diciamo no ai regali fatti a caso.

Diciamo no a pensare che un gioco da tavolo sia un regalo per bambini.

Diciamo sì a fare un regalo originale, pensato e che di certo non lascerà indifferente nessuno.

Diciamo sì a regalare un’esperienza di gioco da tavolo, meglio se condivisa con noi.

Outsiders vi propone cinque idee ludiche per Natale che vi impediranno di essere protagonisti involontari di scene di apertura dei regali paragonabili a quando vengono scartati i pacchetti di vostra zia Tina.

NOME IN CODICE, il party game che farà prendere un po’ di polvere a Trivial Pursuit

Vlaada Chvátil, oltre ad avere un nome molto più epico di quelli tutti i personaggi che avete ruolato a Dungeons&Dragons messi insieme, è il game designer dietro a titoli come Through the Ages e Mage Knight (rispettivamente terzo e ventitreesimo nella classifica dei migliori giochi da tavolo di sempre su BoardGameGeek, sito di riferimento a livello internazionale), certamente mostri sacri, ma non esattamente pesi piuma (regolamenti parecchio impegnativi e più di 4 ore a partita per entrambi i giochi, quasi peggio di Trivial Pursuit). Nessuno si sarebbe aspettato che nel 2015 avrebbe tirato fuori dal cilindro un gioco per tuttissimi (difficoltà del regolamento a livello di Taboo), con componentistica minimale (una manciata di carte) e di durata contenuta (circa 15 minuti a manche, con l’inconveniente che non riuscirete più a smettere), intitolato Nome in Codice, Spiel des Jahres 2016.

Il numero di giocatori è illimitato, ci si divide in due squadre, 25 carte con parole di ogni ambito e difficoltà vengono messe sul tavolo a griglia, un giocatore per squadra ha a disposizione una mappa in cui alcune carte appaiono come appartenenti alla squadra blu, altre alla squadra rossa, alcune neutrali e una è nera come l’assassino, la palla numero 8, la Luna Nera [90s stroke us hard]. A turno, i due capitani potranno dire una parola non presente sul tavolo e il numero di parole del proprio colore che sono collegate da essa e il resto della squadra dovrà indovinare. Fine.

Il gioco per iscritto non sembra nulla di che e invece è bello, è bellissimo, avvincente e in grado di appassionare scacchisti cervellotici e persone che non hanno mai giocato a nulla di più complicato della tombola. Oltre al gioco base (probabilmente il più valido), ce n’è per tutti i gusti: versione visual (con immagini stilizzate al posto della parole), versione vietata ai minori, versione gigante, versione duetto per due giocatori dopo che la vostra ragazza si sarà innamorata di questo gioco così tanto da convincervi a giocarci pure a casa.

L’edizione italiana sta a 22 euro, prezzo abbordabilissimo per regalarlo ad amici, parenti con un minimo di voglia di mettersi in gioco e soprattutto per il Babbo Natale segreto per cui stavate aspettando un’idea.

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DIXIT: il gelo fuori, un tè correttissimo dentro e la coppia di amici che non rivedevate da sei mesi

Vi sareste aspettati di tutto, ma che vostra sorella trentacinquenne, testa sulle spalle, lavoro e famiglia e un meraviglioso terremoto di figlio, potesse presentarvi un gioco lisergico e onirico come Dixit di Jean-Louis Roubira proprio no.

Dixit, nella propria semplicità, è un gioco coraggiosissimo e rivoluzionario: le carte di grande formato e piene delle meravigliose immagini partorite dal frullatore che ha in testa Marie Cardouat e che da sole valgono l’acquisto (comunque a non più di 30 euro) non hanno una riga di testo. Ci sono solo le figure, ci sono solo l’immaginazione, la capacità di astrazione e l’attitudine a capire il modo di ragionare di chi si siede al vostro tavolo.

Il giocatore di turno gioca una carta coperta, dandole un titolo a piacere; gli altri ne giocano una ciascuno, cercando qualcosa che possa far pensare allo stesso titolo; si mescolano e si scoprono le carte e tutti votano quale è per loro quella del primo giocatore, che fa punti se l’hanno indovinata alcuni giocatori (il titolo deve effettivamente far pensare alla carta) ma non tutti (non deve essere troppo ovvio); gli altri accumulano punti se indovinano la carta originale e se viene votata la propria. Manco a dirlo, fine delle regole.

Party game non nel senso di caciarone ma nel senso di semplicissimo, calmo ma divertente, per quella serata tranquilla con qualche amico che volevate concedervi da tempo. La grossa particolarità di Dixit che abbatte gli stereotipi del gioco da tavolo per nerdacci unti è che le donne vincono sempre. Di parecchio. Sarà il maggiore spirito d’osservazione, sarà l’area neanderthaliana del cervello che riconosceva le bacche velenose, saranno gli anni passati a cercare di decifrare il mondo in un cui noi non saremo mai capaci di farlo: poco importa, nessun gioco sembra essere in grado di appassionare giocatrici occasionali quanto il tesoro di fantasia che è Dixit.

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UNLOCK!, DECKSCAPE, EXIT: perché non una escape room da tavolo?

Da qualche mese a questa parte le escape room spuntano come funghi: a tema horror, a tema manicomio, a tema Alcatraz, a tema steampunk, a tema fantasy, negli ultimi tempi anche una a tema egizio e una a tema Astérix, e questo considerando solo quelle presenti nella città tra il fiume, i portici e le montagne. È, assieme alle cene con delitto e all’improvvisazione teatrale, l’esperienza più vicina al gioco di ruolo che anche chi non è un appassionato di cultura ludica possa vivere. Un innegabile problema delle escape room (oltre al fatto che sono troppo poche per la scimmia urlatrice che hai sulla spalla quando leggi di una nuova ambientazione) sono però i costi: spesso l’ora per uscire dallo scantinato in cui i cultisti di Hastur il Re in Giallo vi hanno rinchiuso prima di essere trasformati in indicibili orrori cosmici dal sommo sacerdote di Carcosa costa una decina di euro a testa. Per quanto dieci euro siano davvero poco di più della solita birra nel solito pub, è comprensibile che, soprattutto per gli studenti, il costo sia un fattore in grado di scoraggiare dal provare l’esperienza.

Da quest’esigenza nascono le escape room da tavolo: giochi in scatola giocabili una sola volta, in squadra,  con carte poste in un preciso ordine e da scoprire solo dopo aver risolto enigmi di vario genere, con la tematica ricorrente di dover scappare dai luoghi in cui siete stati rinchiusi, che siano il rifugio sprangato di Exit: la baita abbandonata o il laboratorio del professor Thyme di Deckscape: l’ora del test. Nessun regolamento: ci si mette intorno al tavolo, si apre la scatola e il gioco è iniziato. Poter fare una sola partita per gioco può far storcere il naso, ma bisogna considerare che i prezzi restano bassi e che un’escape room da tavolo rimane pur sempre un’alternativa tascabile e molto economica all’esperienza live.

La scelta tra le escape room in lingua italiana è davvero ampia: Outsiders vi segnala, oltre alle già citate linee Deckscape da 11 euro a gioco (Il Destino di Londra, Il Mistero di Eldorado e altre oltre al sovraccitato L’ora del test) ed Exit (Il Castello Proibito, La Tomba del Faraone, Il Tesoro Sommerso e molte altre), caratterizzata da materiali leggermente superiori e di conseguenza da un prezzo leggermente più alto (15 euro a gioco), l’ottimo Unlock!, probabilmente il migliore dei tre, studiato in maniera meno modulare: la scatola contiene 3 escape room e il conseguente prezzo ammonta a 30 euro.

Tutte le escape room da tavolo sono giocabili da 1 a 6 giocatori, per circa un’ora di gioco. L’entusiasmo al tavolo è assicurato e l’originalità e intensità dell’esperienza sono innegabili; l’ampia scelta sia tra fasce di prezzo sia tra atmosfere (horror, avventurose, comiche e chi più ne ha più ne metta) le rende il regalo perfetto praticamente per chiunque.

A breve è prevista l’uscita di Escape: Outsiders Edition, in cui avrete l’occasione di interpretare il caporedattore di una testata online che cerca di sfuggire alla spirale di ansia e disperazione in cui l’autore della rubrica di cultura ludica che in meno di quattro cartelle Word non è in grado di scrivere neanche una cartolina sta cercando di farvi sprofondare.

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TICKET TO RIDE, perché Come farvi adorare dai vostri nipotini era troppo lungo

Ticket to ride di Alan R. Moon, Spiel des Jahres 2004, è l’unione di eleganza e semplicità che ne fa il gioco perfetto per regalarlo ai vostri nipotini (purtroppo probabilmente solo a loro, dato che il prezzo di 40 euro lo rende accessibile alle tasche della maggior parte degli zii ma non a quelle dei parenti più lontani).

I temi innocui (la costruzione di linee ferroviarie e i viaggi tra le grandi città) faranno sì che non passiate per l’ennesima volta per lo zio degenerato che insegna ai pargoli a superare da destra con la bici con le ruotine e a buttarsi a terra in area quando il gagnetto in difesa si azzarda ad allungare il piede; il livello di difficoltà è paragonabile a quello di Monopoly, il che, oltre a renderlo un gioco a cui i regazzini faranno volentieri una partita con voi, implica che sia giocabile da tutte le persone che accettano la difficoltà del celebre gioco di speculazione edilizia e squalismo turbocapitalista, con in aggiunta il mantra degli eurogames: poca fortuna, molta abilità, scarsa interazione (niente più “dai zio li volevo io Bastioni Gran Sasso”), durata contenuta.

Componenti essenziali ma eleganti: vagoncini colorati per occupare le linee ferroviarie in costruzione, carte rappresentanti i vagoni e una mappa in stile Belle Époque dell’area in cui il gioco è ambientato (gli Stati Uniti in originale, Svizzera e Germania per i più teutonici dei giocatori, l’intera Europa di inizio Novecento in Ticket to ride: Europe, probabilmente la versione più riuscita).

Quanta altra terminologia espressionista-fusariana dobbiamo usare per farvi pensionare Monopoly e darvi all’imprenditoria ferroviaria in cappello a cilindro, monocolo e baffi a manubrio?

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PANDEMIC LEGACY: salvate il mondo e regalate al vostro gruppo di amici la più straordinaria esperienza di gioco da tavolo di sempre

L’uscita dell’americanissimo Pandemic Legacy  di Matt Leacock e Rob Daviau nel 2015 è stata, per il mondo del gioco da tavolo, l’equivalente dell’ascesa di Alessandro Magno, del De revolutionibus di Copernico, dello sbarco di Colombo a Santo Domingo, dei Principia di Newton, del primo volo dei fratelli Wright, della scoperta della penicillina per un errore di Fleming: qualcosa che prima il mondo era una cosa e dopo è diventato un’altra.

In Pandemic Legacy i giocatori, con ruoli diversi (il medico, la ricercatrice, la militare e l’esperto di logistica), collaborano per salvare il mondo da quattro malattie, viaggiando, curando e costruendo centri di ricerca per trovare la cura. Fin qui tutto regolare. Ci sono solo alcuni particolari un po’ strani: alcuni simboli senza un significato sulla mappa, spazi non spiegati sulle schede dei personaggi, parecchie sezioni vuote nel regolamento e soprattutto otto scatoline di cartone chiuse e un mazzo di carte sigillato con scritto STOP: NON MESCOLARE. APRIRE ALL’INIZIO DELLA PRIMA PARTITA DI GENNAIO. Il regolamento invita a giocare un paio di partite di prova con il regolamento di base e la sensazione è che manchi qualcosa di fondamentale, che ci sia qualcosa di imminente: coma fa un gioco con un regolamento così semplice e basilare a essere classificato come numero 2 di BoardGameGeek? Dov’è la fregatura? Pandemic Legacy giocherà con voi e con il vostro gruppo di amici, inquietandovi, spaventandovi, prendendovi in giro.

Il vero gioco inizia con la prima partita in modalità Legacy: si spacchetta il mazzo, si scrive sul retro del regolamento GENNAIO 1 e si pescano carte fino a quando non se ne trova un’altra con la scritta STOP. Alcune carte cambieranno i vostri obiettivi, altre vi faranno trovare nuovi personaggi, altre ancora vi faranno aggiungere paragrafi e interi capitoli alle regole, alcune in momenti cruciali vi faranno aprire le misteriose otto scatole. È estremamente difficile descrivere una partita di Pandemic Legacy senza fare spoiler. Sì, Pandemic Legacy ha introdotto il concetto di spoiler nel mondo del gioco da tavolo. Pandemic Legacy racconta una storia, Pandemic Legacy è in grado di tenere incollati al tavolo quattro insospettabili non-gamer fino alle cinque del mattino per scoprire come va a finire.

Il concetto di legacy, cioè di irreversibilità delle azioni attraverso la modifica permanente di componenti del gioco, è nato con Risk Legacy nel 2011, ma è Pandemic il primo titolo (e a oggi di gran lunga il più riuscito) a esplorarne appieno le possibilità: si strappano carte che rappresentano obiettivi ed eventi non più validi, si attaccano adesivi con stati di tensione della popolazione sulle città in cui l’epidemia raggiunge livelli critici, si distruggono le schede dei personaggi eroicamente defunti nella lotta. L’irreversibilità delle azioni crea un senso di tensione che cala davvero il giocatore nell’ambientazione, con l’ansia e il peso delle responsabilità di chi sta combattendo l’eterna battaglia contro le epidemie. Pandemic Legacy è di sicuro ciò che più è stato in grado di regalare immersività nell’ambientazione in tutta la storia dell’arte di creare giochi.

La scatola con la prima stagione (da cui è obbligatorio cominciare) in edizione italiana costa 50 euro, prezzo che forse non lo rende abbordabilissimo come regalo, ma che è perfetto per una colletta con un gruppo di amici: basta regalarsi libri scelti a caso che non leggeremo, sciarpe uguali alle altre dodici, tazze di Darth Vader e magliette “I’m not a princess I’m a khaleesi”. Guardatevi in faccia, ditevi che l’unica cosa che vi importa è vedervi e mettete dieci euro a testa per prendere questo capolavoro assoluto del game design e giocarci insieme la prima sera che potete. Non smetterete più. Va bene per tutti, perché le prime partite hanno davvero una manciata di regole, mentre le ultime vi faranno sentire trasformati in maestri della strategia.

Ogni mese può essere giocato solo due volte: dopo due partite perse, si passa al successivo segnando che il mese corrente è da considerarsi perso. Questa meccanica fa sì che siano possibili da 12 a 24 partite a Pandemic Legacy (il gruppo medio lo finisce in 16) da un’oretta o poco più l’una.

Se qualcuno dovesse criticare la vostra scelta perché il gioco dopo 24 partite al massimo non può più essere giocato, chiedetegli qual è stato l’ultimo gioco a cui ha giocato più di 12 partite. Scrivete la risposta qui in redazione che siamo curiosi: outsiders.webzine@gmail.com 

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Buon Natale, intrepidi esploratori di mondi da tavolo. Chiudetevi in casa con tre amici e qualche birra una volta ogni tanto. Buon viaggio.