[REPORT] Lenny Kravitz eccita le Langhe

Un viaggio attraverso i maggiori successi dell’artista newyorkese, tra soul, pop, funk e rock, tra sfumature reggae, ballad lascive e hit intonate da tutto il pubblico di Collisioni Festival. 


_di Roberta Scalise

Non comincerò questo articolo affermando che Lenny Kravitz sia un artista dalle molteplici anime sonore, in grado di muoversi abilmente tra soul, pop, funk e rock. Non comincerò questo articolo affermando che Lenny Kravitz abbia 54 anni, ma ne dimostri almeno 20 in meno, con il suo celebre ancheggiare e animare le folle con il suo fascino newyorkese. Non inizierò questo articolo dicendo che Lenny Kravitz sia un polistrumentista eccelso, che suona la sua Les Paul come fosse un’appendice del suo corpo.

Non inizierò in questo modo perché Lenny Kravitz si è dimostrato, ieri sera a Barolo, nel corso del concerto conclusivo dei dieci anni del Festival Collisioni, un vero e proprio divo, una “stella nera” che ha sovrastato, con il suo groove e la sua voce da disco inciso, il pubblico da sold out numerosissimo ed eccitato, altamente recettivo a ogni nota emessa dal collettivo. 

Collettivo che ha vantato una mirabile sessione fiati – composta da Harold Todd, Michael Sherman e Ludovic Louis –, complice anche di uno dei momenti migliori del live: la svolta reggae di “American Woman” poi sfociata in “Get Up Stand Up” di Bob Marley, interpretata con timbro da vero soulman.

Lenny Kravitz sembra un “giovane-uomo” (diciamo pure che l’aura da sex symbol che lo ha contraddistinto negli anni è assolutamente intatta!), con i suoi Ray-Ban – tolti un paio di volte per osservare da vicino la sua folla adorante, cui ha riservato estrema attenzione nel corso di tutta l’esibizione –, i suoi capelli rasta e vaporosi, la sua carica erotica e il suo fisico tonico che sembra non soccombere al trascorrere del tempo.

E come un ragazzino ha divertito e si è divertito, affiancato dal fedele e magistrale chitarrista Craig Ross, dalla talentuosa e raffinata bassista Gail Ann Dorsey, dal tastierista George Laks e dalla carica del batterista Franklin Vanderbilt, conducendo gli auditori in un viaggio immersivo attraverso i suoi grandi successi, da “Fly Away” a “It’s Enough”, dalla neonata “Low” alla classica “It Ain’t Over Til It’s Over” – arricchita da un’introduzione soul ballad –, fino al doppio bis con “Let Love Rule” e “Are You Gonna Go My Way”.

La vena creativa del “rocker maledetto” non è certamente quella dei tempi d’oro ma, nello scenario bucolico della Langhe, Lenny Kravitz dimostra ancora una volta di essere un musicista dotato e un performer carismatico.

Un Divo che non si risparmia, unendosi in un atto d’amore con il suo pubblico (incita addirittura i residenti sui balconi!) e scatenando un vero e proprio terremoto sonoro ed emotivo. Uno show all’altezza delle aspettative, incorniciato deliziosamente da una luna sfumata di rosso, come il vino e la passione dilaganti che hanno ubriacato il parterre di Barolo.

Qui di seguito, la scaletta del concerto:

– “Fly Away”;

– “Dig In”;

– “Bring It On”;

– “American Woman”;

– “It’s Enough”;

– “Low”;

– “It Ain’t Over Til It’s Over”;

– “Can’t Get You Off My Mind”;

– “Believe”;

– “I Belong To You”;

– “The Chamber”;

– “Always On The Run”;

– “Where Are We Running”;

– “Again”;

– “Let Love Rule” (bis);

– “Are You Gonna Go My Way” (bis).