Everything Sucks: gli anni ’90 per come ce li ricordiamo (fin troppo)

Dopo aver sfruttato ed alimentato il grande ritorno degli anni ’80 nei nostri cuori con l’overdose di Stranger Things, Netflix prova a puntare sull’eterno ritorno degli Anni ’90. Ma il risultato è meno brillante e iconico, più stereotipato e prevedibile…


_di Gianmaria Tononi

La trama è una della più semplici, una comedy camuffata da drama che narra dello sviluppo adolescenziale di un gruppo di ragazzi e ragazze, 10 episodi da meno di 30 minuti per ricordarci com’eravamo ormai più di 20 anni fa.

Il tutto ambientato a Boring nell’Oregon (che non è una città frutto della fantasia degli autori ma piuttosto della mancanza di tatto di qualche geografo), in una high school pienamente anni ’90 dove tutti hanno i propri problemi personali, culminanti nell’emblematico episodio in cui tutti si arrabbiano con tutti e nessuno è felice, come nei migliori clichè.

A differenza di Stranger Things, il più diretto riferimento di drama adolescenziale ambientato nel passato che possa venire in mente in questo periodo, Everything Sucks è meno sottile, meno in grado di rientrare nell’immaginario collettivo senza doverlo prendere a “martellate”.

Insomma, invece di suggerire nello spettatore una reazione del tipo “ah sì, è vero che si usava fare così, ahahah” qui si punta più a qualcosa come “eh sì ho capito che andavano i Rancid, i Bad Religion e tante scelte musicali che forse non farei ora ma delle quali sono fiero, ebbasta lanciarmeli addosso!”. Questo è solo un esempio, ovviamente, il tutto è farcito di citazioni e riferimenti più invasivi che espliciti.

Anche il vocabolario ed il lessico dei ragazzi più giovani si rifà apertamente a quei tempi, perlomeno nella versione originale in inglese, con tanto di commento dei genitori “ma come parlando i ragazzi di oggi io proprio non lo so”. Tutti guardano la TV, scartano dischi che arrivano per posta, usano lettori CD. Il numero di VHS che vediamo passarci sotto gli occhi fa pensare che ne abbiano dovute ricostruire alcune apposta visto quante poche ne sono rimaste in giro (ma qui si parla di un A/V club e di ragazzi che girano un film, quindi lo accettiamo).

Nel complesso la storia non è nemmeno male, soprattutto l’evoluzione di Kate, una delle ragazze protagoniste, che realizza la sua omosessualità e la sua attrazione per una quasi coetanea: Kate è la timida figlia del preside, Emaline è tutto il contrario ed è già più che esplosa in un’adolescenza ben più promiscua della media. Anche in questo caso la realizzazione non ci viene instillata minuto per minuto ma forzata nella visuale della ragazza che prova a masturbarsi con una rivista particolarmente discinta, con tanto di padre che entra nella stanza e non realizzerebbe nulla nemmeno se glielo spiegassero.

Per il resto sì, al di là di qualche guizzo e qualche sorpresa che compiace il pubblico, il tutto è abbastanza piatto e lo svolgimento classico è rispettato, con tutta la noia del caso: i ragazzi più giovani temono quelli più grandi, i nerd sono poco rispettarti, poi tutti fanno pace e decidono di compiere un’azione che cambierà la loro vita, vivono una magica avventura che alla loro età io ancora andavo al baretto del paese a prendere alcolici di nascosto, si innamorano tutti insieme uno con l’altro e turno e poi forse no e poi sì, sono tristi, sono felici, il finale è lieto e tutto si sistema o forse no perché attendiamo la seconda stagione.

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Anche i personaggi sono standard, dalla bella e spigliata alla ragazzina timidissima, il ragazzo figo-spacca-tutto, un paio di afroamericani per par condicio (ovviamente uno dei due è un genio, altrimenti gli toccava metterne di più), un ragazzo nerd al limite della robotica, un ragazzo simpatico e non proprio sveglio, una ragazza religiosa, un paio di adulti che vogliono capire i ragazzi giovani ma non ce la fanno, un professore che probabilmente si sente molto cool ma non lo sembra agli occhi dei protagonisti. Manca solamente il football americano, visto che la collaborazione si chiude tra l’A/V club e il gruppo di attori di teatro.

Nel complesso è un ottimo modo di passare il tempo, non risulta fondamentalmente mai spiacevole e 10 episodi così brevi si prestano ad un binge watching da sabato pomeriggio freddo. 

Ciò che dispiace è che si siano però affrontati gli anni ’90 in modo così superficiale e poco in grado di rapire, sarebbe potuta essere un’ottima alternativa alle musiche anni ’80 che alla lunga stanno già stufando da un po’, vediamo se Netflix riuscirà ad alzare il tiro in un’eventuale seconda stagione.