Gli incontri della rassegna “Parole del contemporaneo” al Circolo dei Lettori

Abbiamo partecipato al primo incontro di “Parole del contemporaneo” al Circolo dei Lettori: la rassegna in collaborazione con Doppiozero che propone, per ogni mese, l’analisi di una parola di cui troppo spesso facciamo uso, inconsapevoli dei suoi significati più profondi.


_ di Beatrice Brentani

 

E’ iniziato, giovedì 26 gennaio, il ciclo di incontri “Parole del contemporaneo” in collaborazione con la rivista culturale online Doppiozero. Il progetto si pone come scopo la diffusione di una conoscenza meno superficiale su alcune tra le parole che più utilizziamo nella quotidianità. Indagare su di esse ci può permettere non solo di utilizzarle in modi più appropriati, ma anche di ampliare i nostri saperi sul mondo e sulla costruzione sociale dei significati: ogni parola, infatti, subisce processi evolutivi di tipo semantico con divenire storico (o, detto più semplicemente, le parole evolvono con il passare dei secoli – e con il nostro processo evolutivo).

Giovedì 25 gennaio, Ugo Morelli ci ha parlato della parola condivisione”.

 

Prima di parlarvi dell’incontro, però, vi segnaliamo quali saranno le date dei prossimi appuntamenti e quali le parole che saranno “interrogate” davanti alla corte del pubblico:

  • Giovedì 22 febbraio alle 18.30 Tiziano Bonini parlerà di “follower”, lemma appartenente al lessico nuovo dei social network, ormai radicatosi all’interno delle più semplici conversazioni. Tiziano Bonini è ricercatore in media studies presso l’Università Iulm di Milano, si occupa di radio, social media, cultura digitale e pubblici connessi.
  • Giovedì 29 marzo, sempre alle ore 18.30, sarà la volta di “poliamore” (neologismo che esprime il concetto di “amori molteplici”), lemma analizzato da Marta Dore, giornalista e blogger.
  • Mercoledì 18 aprile, alle 18.30, si parlerà di “cittadinanza”, parola chiave che denota il rapporto tra un individuo e lo Stato e stabilisce la piena appartenenza da parte dell’individuo dei diritti civili e politici in una determinata nazione.
  • Mercoledì 23 maggio, alle 18.30, si parlerà di “sfruttamento” con Marco Revelli, docente di Scienza della politica all’università del Piemonte Orientale e autore di Frontiere e Populismo 2.0.

L’ingresso al singolo incontro è di € 5; Carta Smart € 3; Carta Plus e Amici di Torino Spiritualità gratuito.

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E ora veniamo all’incontro dello scorso giovedì: come abbiamo già anticipato, Ugo Morelli, saggista e psicologo italiano, ha decodificato per noi la parola “condivisione”. Ugo Morelli è studioso di scienze cognitive ed è professore di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Bergamo.

Condivisione, condiviso, condividere: parole talmente tanto abusate da essere state, ormai, private del loro senso originario e caricate di una patina conformista, connotata nei termini del buonismo morale. “Dividere qualcosa con qualcuno” è ora divenuto un processo caricato di valori morali sempliciotti e fuorvianti. Come prima impressione, l’azione non può che sembrare positiva ma, in realtà, scavando nel profondo del concetto, risulta evidente quanto possano coesistere atteggiamenti anche un po’ più “scomodi” quando e se instauriamo un processo di condivisione.

L’approccio neuroscientifico di Ugo Morelli alla parola è stato utile per approfondirne i significati più reconditi, non visibili sulla sua superficie. Cos’è la condivisione? Essa è un meccanismo che ci permette di metterci in rapporto con l’altro e, dunque, di formare la nostra identità insieme a ciò che è diverso da noi: noi “diventiamo” attraverso la “condivisione”.

Ugo Morelli ha compiuto una vera e propria quest verso i motivi che ci spingono, talvolta, a negare la nostra disposizione a condividere: vi può essere, nell’uomo, un piacere insito nei confronti della negazione. L’uomo è, per natura, un animale sociale e dunque predisposto fisiologicamente a condividere, eppure spesso, all’interno dei moti della psiche, si scatena un bisogno di sperimentare anche il suo contrario: da qui l’esclusione, il cinismo, la negazione, vissuti come esperienze dalle quali non sempre si vorrebbe immediatamente uscire.

La domanda che ci si dovrebbe porre è, quindi, questa: quanta differenza possiamo contenere?

Quanta condivisione è possibile internalizzare e a che punto subentra, invece, l’indifferenza? Per poter pensare la parola in tutte le sue più diverse angolature, occorre eliminare la consueta contrapposizione logica tra bene e male, perché entrambi i riferimenti non sono altro che rami di una stessa radice: “condividere”, infatti, è fortemente legato non solo a “cooperare” ma anche a “confliggere” e “differire”.

E’ l’indifferenza, in realtà, il vero termine opposto alla condivisione; il conflitto è invece necessario per la condivisione (perché comporta un incontro tra differenze che, insieme, possono far nascere qualcosa di nuovo). “Condivisione” è quindi un sostantivo che non possiede solamente connotati positivi nel suo complesso, ma gli stessi riferimenti a concetti apparentemente in contrasto con il termine possono anche rivelare la loro utilità in positivo. La mia differenza nei confronti dell’altro non è un qualcosa che va negato, ma non è nemmeno un qualcosa che dovrebbe rendermi impossibile il “dividere insieme con l’altro”, perché solo tramite queste operazione io posso “diventare” e formare qualcosa di nuovo.

Condivisione non è una parola scontata e banale, non è un’ideologia. Si richiama ai valori dell’avvicinamento verso ciò che non riconosciamo come vicino a noi, ci rende capace di approssimarci e di rinunciare, “lasciare spazio” per accogliere il diverso. La condivisione necessita un ritiro parziale del proprio essere, che non ostacoli il divenire dell’altro: richiede, in un certo qual modo, una costante vulnerabilità da parte nostra, la consapevolezza di essere aperti a ciò che non conosciamo e che potrebbe modificarci, nel male o nel bene – è non è importante ricercare per forza una positività nel condividere, quello che importa è che nella relazione che si instaura tra due diversi nasca un senso.