Le stelle della WWE sotto lo sguardo dei lottatori indipendenti

Un gruppo di wrestler indipendenti commenta lo show dei top player della WWE a Barcellona al Palau Sant Jordi.


_di Roberta D’Orazio

Santiago Sangriento è seduto al mio fianco mentre, al Palau Sant Jordi, aspettiamo che lo show abbia inizio. La leggenda hardcore del wrestling indipendente cileno condivide con me l’impazienza di vedere sul ring, dal vivo, le stelle della WWE. Il colosso statunitense dell’intrattenimento sportivo sbarca a Barcellona, con mio sommo entusiasmo – i giorni infrasettimanali, durante la mia adolescenza, erano quel lungo periodo che mi divideva dalla successiva puntata di SmackDown, uno degli spettacoli di punta della casa produttrice. E a quanto pare non sono l’unica ad aver accolto con gioia l’arrivo del programma di wrestling più famoso nel mondo: numerose sono le presenze che fremono nell’edificio che ospita l’evento. Me ne stupisco, perché nella bella Catalogna e in Spagna in generale il wrestling non è esattamente sport nazionale, godendo per il momento di minor diffusione rispetto a quanto accade, ad esempio, in Italia. Ascolto i commenti della porzione di pubblico che è alla mia portata, molti parlano inglese, il che spiega almeno parzialmente il successo della serata.

Tra famiglie e affezionati di vario genere, età e natura, oltre a Santiago posso riconoscere nel pubblico, altri volti noti per un’appassionata di lucha libre, come la chiamano qui, appartenenti alla schiera indipendente. Rispettosa del kayfebe, il codice d’onore per cui non si può rivelare l’identità dello sportivo, mi riferirò a loro con i nomi dei personaggi che interpretano sul ring dell’accademia barcellonese Riot Wrestling. Vicino a noi Alex Ace, altissimo, britannico, convinto che la sua nazionalità gli conferisca il diritto di sentirsi superiore agli altri, Jorge Morillas, buono con i buoni e terribile con i cattivi, che si ispira al mondo dell’hockey, sport nazionale del Canada da cui proviene, e Bulldog Jr, lottatore mascherato, giovane ma estremamente promettente, con il suo stile aereo che ricorda quello del celebre Rey Mysterio.

Condivido con Santiago il mio stupore rispetto alle dimensioni del ring, che in televisione sembrava immenso come il campo da calcio di Holly e Benji, mentre dal vivo appare non più grande di quelli utilizzati negli spettacoli indipendenti. L’impianto luci e audio è magnifico, e secondo qualcuno rappresenta una buona percentuale della spettacolarità dell’evento. Ancora non lo sappiamo, ma durante la serata sentiremo la mancanza dei fuochi d’artificio, quelli che in SmackDown accompagnavano l’ingresso delle Superstelle. Quando Greg Hamilton, speaker ufficiale del programma, entra in scena, il pubblico esplode in un boato.

I migliori combattimenti

Bobby Roode indossa un accappatorio blu glitterato che pure non crea contrasto alcuno con il suo piglio virile, unica eredità della deriva maschilista che il suo personaggio attraversò durante un periodo. Contro di lui, lo statunitense Dolph Ziggler, spavaldo e sorretto dal rancore per conflitti pregressi. Una lotta intensa, con molti falsi finali, che tiene gli spettatori con il fiato sospeso fino all’ultimo secondo. A trionfare sarà il glorioso Roode. “Sono riusciti a raccontare una storia e a rispettare la psicologia del ring evitando movimenti pericolosi.” mi dice Santiago, dopo aver sgranato come perle del rosario i nomi di ogni singola mossa effettuata dai suoi colleghi. “A volte, per deformazione professionale, ho uno sguardo eccessivamente tecnico sugli incontri e questo non è sempre un bene.”

Shinsuke Nakamura ostenta, sin dai suoi passi sicuri sul ring, l’eredità di quelle arti maziali con cui iniziò la sua carriera, appena prima che nel mondo del wrestling iniziassero a chiamarlo Super Rookie, la super matricola, per via della sua rapidissima ascesa al vertice. Kevin Owens è il cattivo, anche lui con dei precedenti rancori verso il niponico avversario. Anche Alex Ace, come Santiago Sangriento, sottolinea l’importanza della narrazione, la capacità di raccontare una storia con movimenti semplici, o che perlomeno appaiono tali agli occhi dei professionisti. È la meraviglia del wrestling: scoprire che quell’insieme di incredibili acrobazie altro non è che la somma di mosse basilari e accessibili a tutti, alfabeto motorio a partire dal quale è possibile formare parole complesse. A vincere lo scontro è Nakamura, con la sua celebre kinsasha. “Ogni momento del combattimento, ogni sguardo, ogni parola, ogni movimento era denso di significato, e ha generato una reazione.” commenta Morillas. “Come wrestler, il mio obiettivo è quello di ottenere una reazione del pubblico. Come fan, voglio che i wrestler suscitino in me una reazione, voglio dimenticare per un momento che tutto questo è finzione, voglio poter tralasciare la mia analisi tecnica del match e investire emozionalmente nella storia, nella psicologia, nei personaggi. Nakamura e Owens mi hanno permesso di raggiungere questo obiettivo.”

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Poi a un certo punto la WWE fa l’occhiolino ai nostalgici. Quando l’eroe mascherato Sin Cara, l’imponente Baron Corbjn e l’energico Sami Zayn salgono sul ring per contendersi il titolo di campione degli Stati Uniti sembra di vedere al loro posto, complice la somiglianza sia fisica che tra i personaggi, i mitici Ray Mysterio, Undertaker e John Cena. Non mi stupisce che il nostro Bulldog Jr citi questo tra i suoi momenti preferiti dello show, data la sua predilezione per lo stile messicano di cui in questo caso Sin Cara è il rappresentante. “Ottima la promo in perfetto castigliano di Zayn. Il combattimento è stato semplicemente perfetto: due cattivi contro un buono. Il pubblico l’ha capito sin dal primo momento e ha espresso tutta la sua complicità.”

Qualcosa in comune?

Sicuramente ci sono delle differenze nello stile di vita dei lottatori professionisti e quelli appartenenti alla scena alternativa. Morillas mi spiega che i combattimenti della WWE live sono spesso semplici dato l’incredibile carico di lavoro che spetta a questi professionisti, che in una settimana possono arrivare a dover affrontare cinque show in Paesi distinti, oltre alle registrazioni delle versioni televisive di Raw e SmackDown, opinione condivisa anche dagli altri ragazzi. “Questi atleti ed atlete sono a un livello tale da poter gestire uno spettacolo molto pulito e tecnicamente controllato, incredibilmente fluido. Non ci si può aspettare nulla di diverso, considerando il team di allenatori, agenti stradali, sceneggiatori e direttori di produzione che li sostengono dall’ inizio alla fine dello spettacolo.”

Esiste tuttavia un denominatore comune tra il wrestling indipendente e gli show delle stelle della WWE?

“C’è un format da seguire, non si può innovare del tutto. Se prepari un dolce, poco importa che sia il dessert per il pranzo della domenica o per una cena di alto livello, utilizzi gli stessi ingredienti per la base. Solo in seguito unisci aromi e ulteriori dettagli secondo il tuo gusto e rispetto al budget che hai.” Fuori dalla metafora gastronomica, è sempre Morillas che aggiunge: “Un’agenzia di wrestling che si rispetti cerca di imitare quello che fanno la WWE ed altre aziende importanti: un ring adeguato, impianto di illuminazione per il ring che crei l’atmosfera necessaria per l’ingresso degli atleti, lottatori che sappiano trasmettere emozioni raccontando una storia al pubblico.”

“Inoltre” aggiunge Alex Ace “in entrambi i contesti si cerca un equilibrio tra vittorie e sconfitte tra buoni e cattivi.”

“È l’amore per il wrestling che ci unisce tutti” puntualizza Bulldog Jr “insieme al desiderio di mettercela tutta, davanti a cento come a diecimila persone.”

Alla fine dello show, non sappiamo ancora che fuori ci aspetta una pioggia torrenziale, insospettabile durante il gradevole pomeriggio barcellonese. Ci porteremo dentro il calore di un grande spettacolo, bello come in tv, forse addirittura migliore.