“Nessuno può volare”: uno viaggio oltre le barriere della malattia con Simonetta Agnello Hornby

Siamo stati al Circolo dei lettori di Torino per la presentazione di Nessuno può volare, il nuovo romanzo della Hornby edito da Feltrinelli, e abbiamo assistito all’intervista diretta da Daniela Lanni, giornalista de La Stampa.

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_ di Beatrice Brentani

Giovedì 16 novembre, al Circolo dei Lettori, la Sala Grande era gremita di persone: si faceva la fila per poter entrare e partecipare all’intervista di Daniela Lanni a Simonetta Agnello Hornby, autrice di Nessuno può volare, il nuovo romanzo edito da Feltrinelli.

Nessuno può volare si presenta come una sorta di testo-testimonianza: è la storia di un viaggio, il viaggio tra Londra e la Sicilia compiuto da Simonetta insieme al figlio George, affetto da sclerosi multipla. Il libro è stato scritto in parte da Simonetta, in parte da George, anche se, in realtà, il nome di George non compare in copertina (George non ha voluto e, inoltre, fino a fine stesura e persino durante le ultime rifiniture editoriali, non si sapeva quanto dello scritto di George sarebbe effettivamente andato a inserirsi nel libro).

Questo libro è esso stesso un viaggio: i lettori sono condotti all’interno del mondo della disabilità, con tutte le problematiche che questo comporta. L’insorgere di una malattia come la sclerosi multipla e, in generale, l’insorgere di una qualsiasi malattia, mentale o fisica, porta sempre il nucleo famigliare a dover costruire nuovi tipi di equilibri, perché quelli vecchi si ritrovano completamente distrutti.

Daniela Lanni conduce l’intervista a Simonetta, che non risparmia mai parole e investe i presenti di racconti sulla stesura del libro, sulla propria infanzia, sull’infanzia di George e sul George adulto di adesso.

Parlando della sua reazione nei confronti della diagnosi di George, la Hornby ha ammesso di aver sempre mantenuto un atteggiamento positivo nel suo rapporto con le disgrazie e questo suo modo di vivere lo deve senza alcun dubbio alla famiglia in cui è cresciuta. Certamente, la malattia di George è stata per lei un colpo terribile, ma si è sempre convinta del fatto che sarebbe riuscita ad andare oltre le barriere dei problemi fisici di suo figlio.

Non ha nemmeno mai pensato a quello che avrebbero potuto pensare gli altri, e ancora oggi non ci pensa mai perché è un loro problema. La sua famiglia era piena di disabili: a suo padre, per esempio, fu amputata una gamba, perciò ne aveva una di legno. I suoi figli, racconta, si divertivano a calciargliela da sotto il tavolo, chiedendogli quale fosse la gamba “malata”, e lei li ammoniva dicendo loro semplicemente “Non si danno i calci da sotto il tavolo” e non “non disturbate il nonno, che non ha una gamba”. Quella era una questione privata che sentiva di non dover toccare mai per  non umiliarlo davanti ai nipoti.
Da parte di sua madre, poi, aveva una zia dal piede caprino; una cugina, invece, era sordomuta, una prozia era cleptomane. Pure la tata aveva un problema: era zoppa!

Si evince chiaramente, dal suo discorso, quanto la scrittrice sia sempre stata abituata a relazionarsi e a confrontarsi in un mondo pieno di questo genere di avversità. Parlando, poi, nel profondo della questione, del giorno in cui è venuta  conoscenza della diagnosi del figlio, i suoi toni sono diventati molto più intimi e confidenziali.

“Premetto che noi non siamo una famiglia che piange. Ma quando George mi ha telefonato, il giorno che ha ricevuto la diagnosi, abbiamo pianto entrambi. George è sempre stato un uomo diligente, rispettoso, aveva lo spirito del pater familiae. Si accorse della sua malattia perché, con la nascita della sua primogenita, Elena, gli sembrava che la bambina gli scivolasse dalle braccia ogni qual volta la stesse tenendo.
Ci volle del tempo prima dell’arrivo della diagnosi definitiva, io mi consolavo scrivendo: la scrittura è stata la mia cura. Il giorno della diagnosi, io ero a casa con Elena, di appena sei mesi; la portai con me in giardino e guardai gli uccelli che, appena ci videro, volarono via. Quest’immagine mi consolò: gli uccelli possono volare, ma l’uomo non può. Nessun uomo può avere tutto o fare tutto, occorre accettarlo per poter vivere. 
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Nessuno può fare tutto. Oggigiorno, però, le nuove tecnologie offrono innumerevoli vantaggi alle persone come George. Parlando di facilitazioni ai disabili, Simonetta ha elencato alcune delle differenze tra Londra e l’Italia che più sono saltate ai suoi occhi. Londra non è perfetta, ovviamente. Ma George, quando esce per Londra, sa per certo che in qualunque ristorante o bar andrà, lì ci troverà un bagno per i disabili perfettamente attrezzato.
Sa di poter prendere il bus ogni qual volta lo desideri e di poter salire su un treno, se avvisa in tempo la compagnia del suo problema. In Italia, invece, non è la stessa cosa: vi sono stati mille e più episodi di negligenza da parte di moltissimi proprietari di ristoranti o librerie in cui George e Simonetta sono stati invitati: questi luoghi non disponevano delle facilitazioni necessarie per permettere a George di vivere da “normale”. Per esempio, in un ristorante, il lavandino nel bagno dei disabili era rotto: George, quella sera, non si è potuto lavare le mani prima di mangiare. In un altro posto, per arrivare al bagno per disabili c’erano tre scalini da salire (eppure, tutto il personale era a conoscenza dei problemi fisici di George); in un altro ancora, la porta non si chiudeva. È la dignità del disabile che viene continuamente messa in discussione, qui in Italia, e viene presa “sotto gamba”.

La Hornby ha poi continuato la storia dei suoi rapporti con George. Ha parlato del carattere forte del figlio, del suo coraggio nel convivere con la sua malattia. La “faccia tosta” e l’intraprendenza sono qualità che ha preso da lei, la madre, ma George è anche molto diverso da lei. Possiede una vastissima intelligenza, che tocca numerosi campi del sapere, proprio come il padre; ha un animo buono, come la nonna (la madre di Simonetta), che fu per George una vera e propria guida spirituale – l’autrice è sicura del fatto che George, fin dall’infanzia, ha sempre nutrito nei confronti della nonna un amore ben più grande di quello che nutriva per lei, sua madre.

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George, essendo paraplegico, non è autosufficiente: talvolta, ha bisogno di aiuto per andare in bagno, e occorre aiutarlo a vestirsi e svestirsi, per esempio. Ma ama i suoi due figli, Elena e Francesco. Rebecca, la sua ex moglie, non ha retto alle complicazioni della malattia di George e ha chiesto la separazione. Elena e Francesco erano già pre-adolescenti, hanno saputo comprendere e hanno accettato la situazione: vedono sempre entrambi i genitori, al 50 e 50.

L’ultima parte dell’intervista si è conclusa abbastanza frettolosamente, perché Simonetta era attesa, alle 21 di quella stessa sera, al Circolo dei Lettori di Novara. Come ultima domanda, Daniela Lanni ha chiesto a Simonetta cosa succederebbe nel caso in cui George decidesse di non voler più continuare a vivere. Simonetta si è detta consapevole del fatto che George potrà non essere sempre felice e senza pensieri, in futuro. La sua esistenza è estremamente difficile, soprattutto al di fuori di casa sua, in cui non ci sono sempre tutte le infrastrutture di cui lui necessita.

“Sono convinta che la nostra famiglia cercherà di fare sempre la cosa più giusta per George e asseconderà le sue richieste, qualunque esse saranno. Le decisioni finali, però, spetteranno sempre ai suoi figli, non a me. Io dovrò farmi da parte”

Il romanzo è stato una vera e propria sfida per George e Simonetta: una sfida che è andata a buon fine. Ora, Simonetta gira l’Italia per presentarlo: è faticoso, ma ne è estremamente felice. È soddisfatta di poter portare la sua storia in giro per il Paese, e spera che prima o poi la società italiana cominci davvero ad accettare le esigenze dei disabili e a sensibilizzarsi di fronte ai loro problemi. Chissà, magari questo suo libro potrà far compiere un passo un po’ più in avanti, a cominciare proprio dai bagni pubblici.