[INTERVISTA] Chiacchiere marzulliane con Dente

Nella suggestiva azienda agricola Pupillo, location della quarta edizione del festival Rock the Targia, nel siracusano, ne ho approfittato per fare due chiacchiere con Dente, headliner della serata.

di_Valentina Battini

Tra una risata e l’altra e alcune domande di stampo marzulliano, abbiamo parlato di morte, letteratura e di quando ha sognato una canzone.

Partiamo con una domanda canonica, “Canzoni per metà” cosa significa per te? Perchè nonostante ogni pezzo sembri avere una propria dignità e un suo senso compiuto, hai scelto questo titolo? È forse il fascino, poetico, dell’incompletezza?

“Perchè sono delle canzoni scritte per delle metà e sono un po’ canzoni matte, perchè se le ascolti attentamente hanno un senso di compiuto, se le ascolti invece per la prima volta sembrano incompiute. Del resto sono canzoni poco canoniche, ci sono canzoni lunghe, senza ritornelli o dei ritornelli e basta, canzoni molto brevi. Diciamo che ho voluto fare un esperimento.”

Canzoni brevi, canzoni lunghe, cos’è per te il senso del tempo e come è mutata la tua percezione? Mi vengono in mente i versi di Al Manakh in “Almanacco del giorno prima” in cui si percepisce un certo peso per lo scorrere inesorabile del tempo, adesso invece com’è?

“Adesso è sempre peggio! (ride n.d.r.) Di tempo ne ho sempre meno, parlo del tempo che mi divide dalla fine dei miei giorni su questa Terra.”

Ma no suvvia! Io pensavo parlassi degli impegni che ti tengono occupato non dell’arrivo del tristo mietitore!

“No no, io intendevo proprio in quel senso lì, comunque la vita ogni giorno si accorcia, e quindi sarò sempre piu angosciato (ride di nuovo, almeno n.d.r.). Devo capire se farò la pace con questa cosa oppure no. Spero di sì perchè vivere fino all’ultimo con l’angoscia dell’ultimo non è proprio bellissimo. Però il tempo mi ha sempre toccato molto, ci penso spesso e mi infastidisce un po’ lo scorrere del tempo.”

Però dai, pensa al tempo di un disco o di una canzone o di un’opera d’arte in genere. La loro vita, a volte più lunga della nostra riesce a cristallizzare il tempo e allo stesso tempo a sublimare questo senso di finito.

“Certo sì, riesce a farti rimanere vivo dopo la morte, lasciando delle tracce… però questo non mi basta, perchè non sarò comunque io a goderne. Ma spero almeno di lasciare qualcosa su questa Terra.”

Invece, di recente hai tenuto un incontro sul legame tra letteratura e musica all’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Un tema fra l’altro molto attuale se pensiamo al premio Nobel a Dylan e alle controversie che ne sono seguite tra chi crede che una canzone sia letteratura e chi no…

“Io credo di sì. Credo che questo premio Nobel sia meritato e giusto. Bob Dylan sicuramente non è diventato Bob Dylan per come canta o per come suona bensì per quello che ha scritto. Poi nel suo caso il mezzo che ha utilizzato per dire delle cose è la musica e non il libro stampato o il volantinaggio però lo ha fatto scrivendole quindi è assolutamente letteratura.”

Domandone marzulliano: oltre a innumerevoli dischi, vanti nel tuo repertorio anche un libro “Fiabe per bimbi molto stanchi”. Le tue canzoni sono dolci ninna nanne, e i bambini stanchi, spesso sognano. Tu che rapporto hai con la dimensione onirica? 

“Col sonno in questo momento ho un pessimo rapporto come puoi vedere dalla mia faccia (ride n.d.r)I Però in realtà ho un bel rapporto con il sogno, perché spesso sogno delle canzoni, più o meno interamente, a volte le ho anche pubblicate. Mi è capitato a volte di sognare anche inediti di qualcun altro, tipo una volta ho sognato un inedito di Jovanotti, dei Tre Allegri Ragazzi Morti, di Vasco Brondi. Canzoni inedite che la mia mente si è inventata e a volte sogno fortunatamente anche dei miei pezzi e quindi se ho la prontezza al risveglio di ricordarmele e non farle svanire – perchè il bello e il brutto dei sogni è che apri gli occhi e svaniscono completamente – e la musica ha anche questa forza, riesce a farti ricordare delle melodie, cerco di appuntarle. Parlando di lei a te, per esempio, l’ho sognata per intero, la cantavo in dormiveglia, poi ho avuto la forza di alzarmi, scriverla e registrarla.”

Tornando a “Canzoni per metà”, ne converrai sul fatto che sia il disco meno orecchiabile della tua discografia. Rispetto a ciò che dici in Canzoncina sui cantautori che non vendono più: come mai hai tirato fuori un disco così complesso da ascoltare e con pezzi che difficilmente possono passare in radio?

“È vero, sicuramente è un disco fatto per chi mi conosce già, potrebbe essere infatti un regalo per i miei fan più accaniti, ma magari uno sgambetto a chi mi aveva appena conosciuto o a chi mi ascolta per la prima volta attraverso questo disco, che in effetti è un po’ strampalato. Sapevo che non era un disco da classifica, solo che mi sembrava sciocco non tirare dal cassetto delle canzoni che avevo. E comunque non è vero che i cantautori non vendono più, ma si vende con i dischi giusti.”

Ultima domanda: come va con Pastiglie, la tua etichetta discografica? Pensi che produrrai altri al di fuori di te?

“Mah… bene, diciamo che nasce dalla necessità di produrre i miei dischi e dalla curiosità di capire cosa significhi avere un’etichetta discografica; ma no, non produrrò nessun altro, al momento è un’etichetta che ho fatto per me e non si prefigge di produrre altro.”