In Zaire: viaggio attraverso le psichedelia del tempo che verrà

Il 6 aprile al Magazzino sul Po si teneva la seconda preview del Psycho River Fest. A tenere alta la bandiera della psichedelia italiana quella sera sono stati Zu e In Zaire. Dopo la nostra lunga chiacchierata con Pupillo, ci addentriamo adesso nelle parole del super gruppo, testa di serie della label Sounds of Cobra. 


_di Gerri J. Iuvara

Abbiamo ascoltato i membri della band in un’intervista corale sul ruolo della musica psichedelica nel nuovo millennio, sui loro progetti paralleli, ma soprattutto, sul nuovo disco in uscita il 2 Maggio: Visions of The Age to ComeLegenda, In Zaire sono: Claudio Rocchetti, Stefano Pilia, Alessandro De Zan, Riccardo Biondetti. 

Il prossimo appuntamento con lo Psycho River Fest è per il 15 giugno al Magazzino sul Po
con  FÖLLAKZOID, i TAU, i Foxhound e gli ọRIọNE.

Partiamo con una domanda decisamente complessa suggeritami dal mio caporedattore: essendo quella di stasera una piccola anticipazione dello Psych Fest, dedicato alla musica psichedelica, qual è il vostro rapporto con questa strana materia?

Riccardo: Bella domanda. Noi guardiamo alla Psichedelia” come ad uno strumento, ad una pratica per il raggiungimento di una stato di coscienza oltre l’ordinario. Si tratta di tentare di espandere il livello di coscienza e di conoscenza sia attraverso la musica ma anche attraverso altre esperienze, spirituali e rituali, compreso l’uso di certe sostanze psicotrope (ridono).

Secondo voi, però, si può ed è ancora giusto parlare di Psichedelia nel 2017 oppure no?

Riccardo: Certamente, anzi, penso che oggi sia ancora più importante. Nella società in cui viviamo, dove ci sono modelli diretti, suggeriti, imposti da altri, penso stia nascendo una necessità di esprimersi e comunicare che vada al di là di questi modi preinstallati, e penso che esperienze come la Psichedelia siano una risposta. Una sorta di reazione necessaria ai tempi.

Possiamo quindi definire gli In Zaire gruppo psichedelico in tutto e per tutto?

Stefano: Siamo anche figli del Rock‘n Roll, di quello chiamato psichedelico e non, e ci piace suonare rievocando questa tradizione ed un certo suono. Rievochiamo il potere e l’esperienza di certa musica per realizzare il nostro rituale usando il potere del suono e del concerto come un rito collettivo come modi e pratiche per espandersi anche solo un poco oltre l’ordinario. Penso al nostro suono, che è fatto tanto anche di caos e rumore, come ad un trampolino per saltare un po’ più in la. Per scuotere un po’ di ragnatele e chiamare in causa altre zone sottili e nascoste.

«La psichedelia oggi? Certo che esiste:
anzi, è u
na sorta di reazione necessaria ai tempi»

Parlando con Massimo Pupillo mi ha detto che per lui la musica è una medicina. Per il sottoscritto Massimo è diventato uno sciamano che crea sonorità per instillare emozioni nei suoi ascoltatori, secondo voi è un discorso condivisibile con il concetto di musica che voi esplorate?

Stefano: Certo. E’ proprio quello l’aspetto che secondo noi è interessante all’interno del concetto di musica psichedelica”, non tanto una questione di genere musicale o di stile. Queste caratteristiche fanno parte anche di altra musica non necessariamente definita psichedelica. Il suono, la musica, la danza, l’arte in generale hanno proprietà e funzioni che non interessano solo il semplice intrattenimento o il senso ricreativo, ma offrono un potenziale esplorativo, di espansione della coscienza e dell’esistenza, anche spesso attraverso un processo taumaturgico.

Claudio: E’ qualcosa che va oltre la musica degli anni ’70 ed ha radici che vengono dalla notte dei tempi, la ricerca di punti di vista diversi dalla nostra realtà. Poi ovviamente abbiamo tante influenze musicali ma psichicamente è un discorso molto più ampio, antico e spirituale.

Nella vostra personale ricerca musicale e spirituale quanto conta per voi l’utilizzatore finale del vostro prodotto e quindi i vostri ascoltatori? Quanto conta, e se conta, il loro parere sul vostro lavoro, inteso sia come disco che come musicisti?

Riccardo: Credo ci siano diversi livelli diversi di comprensione. La musica parte sempre come un bisogno molto personale, un’esperienza di elevamento singolare che poi viene da noi espressa e vissuta in un contesto di gruppo. Questo crea un’esperienza ancora più forte, infine, quando questa energia viene messa in atto di fronte al pubblico viene finalmente liberata, amplificata e può essere finalmente condivisa. Per quanto ci riguarda, in noi c’è una continua intenzione di riuscire a trovare un piano di comunicazione oltre l’ordinario.

Claudio: Il fatto che le nostre energie e quello che esprimiamo possa riverberare all’interno di una sala è molto importante, perché si tratta di uno scambio di energie tra te e il pubblico. A volte questo scambio accade a volte meno, per esempio, questa sera la sala ha risposto in certo modo, c’è stato un certo feeling. L’altra sera al Bronson di Ravenna abbiamo suonato forse tecnicamente meglio ma lo scambio è stato più flebile.

Stefano: Per noi, come gruppo e come musicisti, suonare è un modo di offrire qualcosa a chi vuole ascoltare. Non si tratta solo di esprimere una questione di stile o una certa tendenza artistica, né tanto meno di fornire un prodotto da consumare esclusivamente per il proprio intrattenimento. Ma offrire unesperienza di condivisione attraverso il suono.

Nella vostra offerta musicale che funzione hanno i vostri brevi e scarni testi in inglese?

Claudio: Sono testi evocativi, sono immagini che richiamano delle situazioni. Non sono narrativi. Servono a creare una determinata atmosfera. Inoltre la voce è lo strumento ancestrale nei rituali, quindi, nella nostra musica non poteva mancare l’elemento umano per eccellenza.

Parlateci del vostro nuovo disco, uscito a distanza di quattro anni dal vostro primo Lp, da quali esperienze nasce e da cosa si differenzia dal precedente?

Stefano:. In Zaire è una band che è nata da due esperienze precedenti che sono i G.I. Joe, duo basso batteria con Ricky e Ale e l’altra è quella dei ¾ Had Been Eliminated: una sintesi tra avant-rock e musica elettroacustica. Gli In Zaire sono una risultante molto spontanea di queste due esperienze. Il primo disco (ndr White Sun Black Sun del 2013) ha preso forma improvvisando in modo molto viscerale e magmatico e soprattutto dal vivo. Questo nuovo disco è nato con l’idea di inserire più zone propriamente tematiche dentro al nostro suono, cristallizzare parte del suono in alcuni veri e propri riferimenti tematici.

La copertina del nuovo disco degli In Zaire

«Si tratta di offrire unesperienza di condivisione attraverso il suono.
In noi c’è una continua intenzione di riuscire a trovare
un piano di comunicazione oltre l’ordinario
»

Origliando i vostri discorsi del post concerto ho scoperto che abitate in quattro città diverse, alcuni di voi addirittura fuori dai confini nazionali. La domanda è come si fa, data la distanza, a comporre musica tutti assieme?

Stefano: Ognuno di noi coltiva singolarmente un fuoco creativo ed un immaginario che poi vengono condivisi e alimentati dall’incontro con gli altri del gruppo. Non spediamo a distanza idee o spunti musicali ma prediligiamo piuttosto sviluppare materiale o meglio trovare una sintesi nel momento dell’incontro. Il disco nuovo è stato certamente più difficile da realizzare, il primo è nato molto istintivamente e soprattutto dal vivo. Per questo nuovo capitolo ci siamo ritrovati in studio pochi giorni, improvvisando, scrivendo e registrando quasi simultaneamente. E stato poi necessario un lavoro di produzione compositiva più elaborato e raffinato per riuscire ad integrare al meglio certe zone tematiche dentro al nostro sound. Un’elaborazione e un organizzazione del suono ripensata fuori dall’esperienza live. Per noi si tratta di un vero e proprio passo in avanti, diciamo un passo oltre quella che è stata la nostra precedente consuetudine. Credo che anche dal vivo avremo quindi dei nuovi elementi con cui alimentare un certo magnetismo psichico tra noi. Che è poi la cosa principale da salvaguardare e da nutrire per la vita di un progetto come questo. Se avessimo tenuto intatta e ferma l’energia del gruppo, come protetta dentro ad un vaso, si sarebbe certamente appassita o dispersa. Ogni cosa ha bisogno di crescere ed evolversi. Ogni disco in questo senso è un nuovo ciclo che un gruppo di persone decide di intraprendere assieme.

Quanto è rischioso per voi riunirsi per poco più di una settimana e chiudere il disco in quella sessione? Capisco che la vostra arte si fonda sull’improvvisazione ma come si gestisce tutta quest’ansia da prestazione?

Claudio: Ovviamente non si risolve tutto in sette giorni, anzi, però sono d’accordo sul fatto che la cosa ha un rischio e che questa è solo una versione possibile di quello che può accadere. A dispetto di altri gruppi che più semplicemente si affidano alla forma canzone canonica, nel nostro caso abbiamo avuto versioni completamente diverse dei pezzi poi finiti su disco. Abbiamo scartato molti pezzi e altri sono stati fatti molto velocemente. E’ come se ci fosse un elastico tra noi, più che una sintonizzazione sonora è un incontro di anime, che si scontrano, che si abbracciano e che si fondono non tanto in uno stile ma in un’esperienza, ed è qui che nasce il discorso della Psichedelia. Per noi i pezzi sono dei talismani, uno strumento di coesione tra noi e gli altri. Noi vogliamo creare una specie di bolla energetica attorno, una sfera che ti protegge, ti conduce da qualche parte o ti da lo slancio per fare qualcosa.

Adoro la musica perché ognuno la vive in modo diverso e personale, ad esempio, ho intervistato IOSONOUNCANE e mi ha detto che lui da solo ha registrato DIE in un anno, mentre voi in una settimana riuscite a fare tutto, come ci riuscite?

Stefano: Credo che molti musicisti ed artisti pensino al disco più come ad un’opera ”conclusa”, con una sua autonomia e quindi tendano giustamente a realizzarlo nella miglior forma possibile. Mentre per gli In Zaire non è propriamente così. C’è un colla realizzativa che è spesso extra musicale e in qualche modo mai del tutto manifestata. Il disco è una testimonianza ed anche una sorta di “esperimento” che da un lato vogliamo lasci trasudare una certa spontaneità, una certa urgenza e tensione e dall’altra un immaginario sonoro molto dettagliato, stratificato e complesso. Di molte registrazioni abbiamo tenuto spesso buona la prima perché anche se non sempre la più perfetta avvertiamo lì una spontaneità fuori dalla zona di “calcolo”. Ma a posteriori è stato invece più lungo il lavoro di “digestione” delle poche session e di elaborazione del suono. Così da poter offrire un giusto punto di ascolto e di vista della natura della nostra musica. In fondo non ci interessa realizzare il disco perfetto o incredibilmente comunicativo. Ci interessa costruire un sorta di “gioco/esperimento” con cui tutti e quattro giocare e fare giocare anche gli altri, e dico giocare nel senso più nobile del termine. Come detto, noi pensiamo ai brani più come a dei talismani o a dei mandala attraverso i quali incominciare a plasmare e ad individuare il nostro habitat. Tutto cper dire che ciò che viene realizzato in una settimana ha dietro un percorso assai più lungo ed il tempo in questo senso è comunque più che mai relativo.

Ci sono delle band in Italia che vi somigliano o con cui avete una certa affinità e convergenza d’intenti?

Riccardo: Ci sono alcune band con cui abbiamo un certo feeling, gli ZU stasera ne sono un esempio, ma band che ci somigliano direi di no. Alcune posso rassomigliarci per l’approccio che hanno al suonare. Dicendo questo parlo dell’intenzione che c’è dietro alla musica al di là del creare il pezzo, l’opera o anche solo creare una suggestione in chi lo ascolta. Ecco se la vediamo così, ci sono dei gruppi a noi affini. Mi viene da pensare ai Movie Star Junkies di Torino o i Father Murphy che, anche se musicalmente diversi, penso nascano con lo stesso drive. Certo si tratta di affinità più che di somiglianze, si tratta di approcci simili con risultati differenti ma ci sono delle connessioni molto più strette che con altri gruppi che musicalmente sono simili ma che fanno musica diversa.

«Non ci interessa realizzare il disco perfetto…
C
i interessa costruire un sorta di “gioco/esperimento” con cui tutti e quattro giocare e fare giocare anche gli altri, nel senso più nobile del termine»

Visto che vivete separati e resuscitate la band ogni circa quattro anni, immagino che avrete molti progetti paralleli a In Zaire no? Su questa domanda escludo volontariamente Stefano, perché tu sei quello famoso” del gruppo. Procediamo in ordine, comincia tu Riccardo.

Riccardo: Io veramente suono solo col gruppo e non ho una band parallela mi dispiace (ride).

Stefano: Lui non ama parlarne, per modestia forse, ma Ricky ha un’etichetta da molti anni che si chiama Sound of Cobra, produce un sacco di bella musica, organizza tour in Europa per un sacco di band (ndr In Zaire compresi).

Beh questa mi sembra una cosa importante da segnalare durante questa intervista no? Parlacene.

Riccardo: E’ importante perché paga il mio affitto (tutti ridono). No davvero, fa parte dell’essere dentro una grande realtà musicale fatta da tanti musicisti.

Stefano: Ora lui non lo vuole dire ma in realtà è da quindici anni che organizza concerti, fin dai tempi in cui viveva a Bologna ed è stato incredibilmente partecipe di una serie di scene e movimenti provenienti da tutta Europa e da tutta Italia. Riccardo è dentro i tessuti del costruire una realtà, un discorso culturale ed un pensiero che non sono mai stati facile da tenere vivi soprattutto in un paese come l’ Italia. E quando dico realtà, intendo quel qualcosa di non solo legato al teorizzare ma a realizzare concretamente altre possibilità, rendendole possibile per se e per gli altri.

Tu invece Claudio che progetti hai oltre il gruppo?

Claudio: Io ho alcuni progetti a nome…beh a nome anagrafico: Claudio Rocchetti (ride). Poi ho anche altri gruppi che sono molto diversi tra loro, si tratta però di una costellazione un po’ complicata, se vuoi ti mando un Pdf (ride), guardavo l’altro giorno la discografia e sta diventando un po’ grandina, sono quasi tre pagine. Se però vuoi qualche anticipazione, adesso uscirà un disco in duo con Jukka Reverberi, una cosa ritmica, una specie di dub sporco. Poi uscirà un’altra cosa a nome mio, anzi una serie di dischi dedicata ai miei compositori preferiti. Il primo sarà Bach e il secondo sarà su La Monte Young, quindi generi simili (ride). Queste sono le cose che usciranno in quest’anno solare. Poi sono tornato da poco in Italia a casa e da qualche tempo ho cominciato a suonare con questo gruppo Metal-Doom, perché alla fine sono sempre stato un metallaro (ride).

Infine Alessandro, tu che ti sei unito solo all’ultimo e ad intervista iniziata, a te l’onore di ucciderla. Parlaci dei tuoi progetti paralleli gli In Zaire.

Alessandro: Ho fatto tante collaborazioni negli anni, anche insieme a Ricky, la cosa più recente e per me più interessante è questo gruppo, siamo un duo di musica folk-etnico-psichedelico che si chiama Orfanado. Poi infine c’è un progettino che non ha detto Claudio, qualcosa in divenire, ma su cui stiamo pensando molto seriamente. Si tratta di un progetto che combini musica e proiezioni cinematografiche. Lavorando nell’ambito archivistico cinematografico mi sto dilettando nel montare varie immagini di repertorio, molte documentaristiche, di trenta e quaranta anni fa e che poi vorremmo musicare io e Claudio. Però ne stiamo ancora parlando, è un qualcosa che vorrei fare da tanto tempo e credo che prima o poi verrà fuori.

Tornando alla discussione che abbiamo avuto a cena: possiamo chiedere ufficialmente al Seeyousound o a chi per lui di affidarvi la sonorizzazione di un bel film muto?

Tutti: Possiamo? Dobbiamo dirlo, anzi noi ci candidiamo ufficialmente, vi lasciamo i nostri numeri e voi quando volete ci chiamate (ridono).

Concludiamo parlando del tour? So che c’è stato un ritardo nell’uscita del disco che vi farà cambiare un po’ i vostri piani concertistici no?

Claudio: Si abbiamo avuto questo contrattempo che comunque non ci fermerà. Faremo qualche data, senza fare un tour continuo. Probabilmente suoneremo in maniera più continuativa quest’autunno.