Un oceano di plastica: l’onda anomala che facciamo finta di non vedere?

Franco Borgogno, Eugenia Delauney e Francesca Sartoro sensibilizzano sul problema dell’inquinamento da plastica dei nostri mari nella conferenza targata Biennale della Democrazia intitolata “Un oceano di plastica” nella Sala dei Mappamondi di Via Accademia delle Scienze 6.

_di Miriam Corona

Nel contesto della Sala dei Mappamondi dell’Accademia delle Scienze di Torino si è affrontato il preoccupante tema dell’inquinamento da plastica degli oceani avanzato da tre relatori con formazioni diverse ma lo stesso obiettivo a cuore: la salute del mare e dei suoi abitanti.
Apre la conferenza Franco Borgogno, fotografo e giornalista, che parte dalla ricerca effettuata con una spedizione avvenuta nell’agosto 2016 a nome dell’European Research Institute insieme al 5 Gyres Institute (associazione che combatte per la causa tramite educazione e prevenzione) per documentare la presenza di microplastiche nel mare artico della Groenlandia. Le microplastiche sono i frammenti di plastica inferiori ai 4,75 mm di grandezza, dopodiché diventano macro o, quando raggiungono metri di ampiezza, megaplastiche; spesso si trovano nei prodotti cosmetici o simili, come gli esfolianti per il corpo, creme o dentifrici, sotto la dicitura di polietilene. La spedizione ha consistito nel raccogliere per due volte al giorno campioni di plastiche, sia nell’acqua che sulla costa, per farli analizzare dall’Imperial College di Londra. I risultati hanno confermato che le micro e le nano plastiche, invisibili a occhi nudo, sono molto più pericolose delle plastiche di ampia grandezza; l’inquinamento dunque non è solo bruttezza. Noi guardiamo il mare e non vediamo altro che bellezza, spesso inconsapevoli di ciò che è nascosto ai nostri occhi.

Nel Mare Artico questo tipo di problemi sono più lampanti, a cause della presenza o, meglio, dell’assenza del ghiaccio, un’altra delle gravi questioni che minacciano l’ecosistema marino e la catena alimentare degli animali, come gli orsi polari, che negli ultimi anni a causa dello scioglimento del ghiacciaio hanno perso sette settimane all’anno di possibilità di nutrimento rispetto agli scorsi decenni.

«I frammenti di plastica nel mare sono 20 volte i corpi celesti presenti nella Via Lattea»

Tutti i rifiuti degli oceani del mondo, tramite le circolazioni delle correnti, le vene del grande organismo Terra, arrivano al Mar Glaciale Artico, il cuore del pianeta; e come noi umani ci preoccupiamo dei nostri scompensi cardiaci, dovremmo allarmarci ugualmente riguardo le disfunzioni degli oceani.

Perché un giornalista piemontese, lontano dalla realtà del mare, si è avvicinato alla questione dell’inquinamento delle acque? Il nostro territorio sarà lontano dal Mediterraneo, eppure l’intera zona delle Langhe e del Monferrato sono ex fondali marini, che devono il successo dei loro prodotti di qualità proprio grazie alle proprietà originali di questi terreni; senza contare i numerosi torrenti e fiumi che scorrono in Piemonte, anch’essi contaminati con plastiche che, nonostante vengano ridotte di dimensione a causa della frantumazione tramite biodegradazione, rimangono sulla Terra per sempre. E’ questo il concetto che Borgogno ci tiene a far passare, la permanenza di questi materiali: se Cristoforo Colombo fosse giunto in America 500 anni fa con una bottiglia di plastica e poi l’avesse gettata, essa sarebbe ancora presente tutt’oggi.

Dopo il ciclo di spedizioni, 18 in tutto, i dati che sono emersi sono allarmanti: 5250 miliardi di pezzi di plastiche (tra mega, micro e nano) del peso totale di 269.000 tonnellate. I frammenti di plastica nel mare sono 20 volte i corpi celesti presenti nella Via Lattea. Una ricerca del CNR eseguita tra Toscana, Corsica e Liguria, proprio all’altezza del Santuario dei Cetacei, ha determinato la presenza di 10 chilogrammi di plastica per chlometro quadrato; mentre in Sicilia e in Puglia si “scende” rispettivamente a 4 e a 2 chili. Se nel 2015 la produzione di plastica contava 322 milioni di tonnellate, nel 2050 arriverà a 1124 milioni di tonnellate, ovvero il peso della plastica in acqua supererà quello di tutti gli organismi viventi in mare. Il problema principale che causerà più danni permanenti è il cosiddetto “effetto spugna”: le plastiche infatti assorbono sostanze tossiche e allo stesso tempo le rilasciano, come DDT e veleni simili, diventando 1 milione più tossici rispetto al loro scioglimento diretto nell’acqua.
Borgogno conclude il suo intervento segnalando la situazione Indonesiana in cui la plastica scorre letteralmente a fiumi e intorno alla cui raccolta numerose famiglie fondano il loro sostentamento vitale.

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A father and son (L) on a makeshift boat made from styrofoam paddle through a garbage filled river as they collect plastic bottles that they can sell in junkshops in Manila on March 19, 2015

L’ecotossicologa Eugenia Delauney, che svolge il suo lavoro all’interno dell’ISMAR del CNR, riprende e conferma i dati esposti da Borgogno, specificando che dagli anni ’50 ad oggi di tutta la plastica prodotta circa 13 milioni di tonnellate si trovano nei nostri mari. Negli oceani la frammentazione risulta più complicata poiché essa tende a depositarsi sui fondali piuttosto che a galleggiare, rendendo la fotodegradazione e la biodegradazione (ad opera degli organismi presenti) più ardue a causa del diradamento graduale della luce e della fauna. Nonostante questi processi aiutino la scissione fisica della plastica, non contribuiscono alla degradazione e dunque allo smaltimento dei rifiuti; la vita di questo materiale infatti dura centinaia di migliaia di anni e di conseguenza ha impatti a lungo termine sull’ecosistema, che mostra già ora le gravi ferite inflittegli soprattutto per quanto riguarda i suoi abitanti; ogni anni vengono riscontrati tra i 57.000 e i 137.000 casi di intrappolamento da plastica tra circa 350 specie diverse di animali, più degli altri foche, otarie e tartarughe, ma anche i grandi mammiferi e gli uccelli.

Nei casi più gravi si arriva all’ingestione dei rifiuti, che spesso vengono scambiati per cibo o prede, alcuni ci giocano e, nel caso degli uccelli, li utilizzano per la costruzione dei nidi. Questo causa l’ostruzione degli organi interni, infiammazioni, rilascio dei contaminanti assorbiti dalla plastica (provocando anche danni sugli umani che mangiano pesce o organismi filtrati come le cozze) e limita l’assorbimento di nutrimenti poiché l’animale si sente sazio ma non ha tratto nessun sostentamento da ciò che ha ingerito. Studi recenti hanno confermato la maggiore dannosità delle nanoplastiche rispetto alle microplastiche poiché le loro particelle riescono a passare tramite le pareti intestinali e a contaminare il resto degli organi e sono in corso rilevamenti di cellule per capire quali vengono maggiormente colpite e assorbono più materiale dannoso. La Delauney ricorda la responsabilità sociale che ognuno di noi ha e le misure preventive che possiamo adottare, come la regola delle tre “R”: Reduce, Re-use, Recycle (Riutilizzare, ridurre, riciclare).

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«La Ocean Conference monitora il lavoro che ogni nazione svolge annualmente in materia di sostenibilità degli ecosistemi marini»

Francesca Santoro, ultima relatrice della conferenza e membro della Commissione Oceanografica dell’Unesco, illustra brevemente (e per quanto possibile) il problema della complessità delle norme e della legislazione intorno alla questione dei rifiuti di plastica negli oceani. Negli ultimi decenni difatti ogni nazione ha adottato individualmente trattati, leggi e regole per marginare l’uso di questo materiale, ma partendo tutti da principi e convinzioni diverse che tutt’ora non riescono ad essere unificati in senso internazionale. Le numerose istituzioni che se ne occupano (come la FAO per quanto riguarda la pesca o l’UNDP per lo sviluppo) formano la “Governance” dell’oceano e si stanno impegnando per l’organizzazione di iniziative e attività concrete che mirano alla salvaguardia dei mari, come gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile 2015-2030 e la “Ocean Conference”, che monitora il lavoro che ogni nazione svolge annualmente in materia di sostenibilità degli ecosistemi marini.

Le azioni che possiamo svolgere individualmente concernono petizioni e richieste alle istituzioni per quanto riguarda la creazione di infrastrutture tecnologiche, strumenti normativi per l’unificazione delle pratiche, educazione e istruzione in ambito di prevenzione, come la riduzione dell’uso di bicchieri o buste di plastica, o presentare istanze alle aziende per richiedere azioni concrete come la riduzione del packaging dei prodotti.

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