“Il Padre D’Italia”, il respiro di una generazione

Storia intima che diventa affresco generazionale on the road? Il nuovo film di Fabio Mollo con protagonisti Luca Marinelli e Isabella Ragonese avrebbe tutti gli elementi per puntare dritto al cuore ma sembra non affondare il colpo…

_di Francesco Nardini

Se si considerano i suoi, finora, due unici film da regista di finzione (Il Sud è niente e Il padre d’Italia) la carriera di Fabio Mollo può essere vista come un discorso sul ruolo di una generazione nel nostro paese. Una generazione che, nel primo film, decide di rompere il silenzio a cui il Sud era stato abituato da troppo tempo – non solo a causa delle mafie – mentre nel secondo (Il padre d’Italia) “smette di essere figlia e diventa genitore”. Come succede a Paolo (Luca Marinelli), trentenne omosessuale e solitario che grazie all’incontro con Mia (Isabella Ragonese) e a un viaggio da nord a sud con la donna, inizia un percorso di scoperta del valore della vita e della felicità, provando a terminare un’esistenza passiva e divenendo quindi il padrone del proprio destino.

Il Sud è niente giocava col realismo, Il padre d’Italia invece si dà da fare nel creare situazioni il più possibile lontane dal vero, in particolare nella sceneggiatura e in diverse sequenze in stile videoclip, lasciando il realismo alle emozioni e al carattere dei protagonisti. Impossibile perciò non accorgersi della somiglianza tra il film di Mollo e Laurence Anyways di Xavier Dolan, pellicola omaggiata in più momenti.

Ma se con il film del 2012 il cineasta canadese riusciva a mostrare sullo schermo con enorme forza cinematografica le situazioni e i personaggi grazie ad acrobazie registiche memorabili (come nel caso della festa e della passeggiata sotto la pioggia di vestiti), Il padre d’Italia, nonostante il tentativo di replicare quanto detto in precedenza, non riesce mai a essere così tanto incisivo. E dire che le potenzialità c’erano, a cominciare dal sopracitato cambio di stile.
Anzi, a dirla tutta, Fabio Mollo ha dalla sua – a differenza di molti registi pop contemporanei – l’interesse per argomenti sociali di notevole importanza (non solo l’analisi della sua generazione ma anche il tema della paternità per gli omosessuali, quest’ultima una questione più che mai attuale). Ciò che manca al regista di Reggio Calabria non sembrano essere solo il talento
 o il budget, quanto una enorme dose di spregiudicatezza (quella che di certo non manca ad un Dolan!) tale da mettere davanti a tutto l’emotività, sia quella del filmmaker che quella dei personaggi creati. E per una storia del genere, giocata sui sentimenti, una regia forte e permeata da uno stile personale risulta un elemento primario. Come accade, per esempio, in La grande bellezza, pellicola che senza la forza stilistica di Paolo Sorrentino (a cominciare dall’uso della musica per finire con quello della macchina da presa e degli attori) risulterebbe molto meno potente. 

Fabio Mollo quindi – complice forse un progetto troppo ambizioso – non riesce a padroneggiare del tutto la materia, creando un film, seppur gradevole – per merito di attori meravigliosi e di un buon uso della colonna sonora – mai totalmente in simbiosi con la storia che racconta. Peccato: il film rimane sospeso, nella lunga lista dei prodotti sicuramente buoni, ma mai davvero memorabili.