Federico Manzone e la bellezza dei luoghi dimenticati

Un affresco quasi neorealista tra le stradine di un paese del Sud Italia nella graphic novel di Federico Manzone intitolata “L’ultimo paese” e pubblicata lo scorso novembre da Canicola Edizioni. 

_di Lorenza Carannante

L’Italia è costellata di tanti piccoli paesi nascosti tra i monti o che si affacciano a strapiombo sul mare. In realtà, però, sebbene ne sia interamente cosparsa, è soprattutto il Sud a godere di questi piccoli gioielli dalle magie che riecheggiano tra i vicoli. E Federico Manzone, il promettente autore dell’albo “L’ultimo paese” uscito per Canicola (associazione culturale e casa editrice di Bologna)  lo scorso novembre, ne ha colti i misteri, le credenze e addirittura i miracoli attraverso la potenza della scala di grigi e un tratto semplice. 

Eloquenti sarebbero già soltanto le prime tavole, mute, che aprono le 136 pagine complessive di un’opera destinata ad avere un grande successo. Fumose, piene di un vento tipico di alcune stagioni nei paesi del Sud Italia, le prime pagine de “L’ultimo paese” rendono l’idea dell’intera vicenda in cui si susseguono, anzi si inseguono, personaggi-simbolo di un’Italia piccola, quasi nascosta ma non dimenticata. Il tratto di Manzone è formidabile: il lettore si sente come inserito, mai però prepotentemente, in un passato desiderabile i cui protagonisti, oltre alla guerra, sono dei personaggi sorprendentemente veri. Non stupisce, infatti, quanto sia Mimino che il pittore Vittorio, i due personaggi principali (ma anche il nonno del piccolo miracolato) siano spaventosamente reali, come strappati dalle nostre strade e messi su carta coi loro vizi, le loro paure e perplessità, i loro dubbi e le fascinazioni nei confronti di una vita curiosa e pertanto inestimabile. Vittorio ha perso un braccio quand’era ancora in fasce mentre era in braccio a sua madre, con cui parla attraverso una fotografia poiché rimasta vittima di quell’incidente di guerra. Rimasto brutalmente sfigurato, Vittorio incontra raramente suo padre e frequenta poche persone: è scontroso nei confronti degli esseri umani ma non della vita, nonostante essa non gli abbia offerto grandi possibilità in un paese di braccianti. Un vero e proprio paradosso, primissimo spunto di riflessione.


Poi, la figura di Mimino, un bambino miracolato e per il quale il pittore dovrà dipingere un ex voto dedicato alla sua salvezza
: si pensa, infatti, che sia stata la Madonna a salvarlo da una frana. Il vero e proprio nucleo della vicenda, però, è l’incontro tra i due, che innescherà nel bambino un profondissimo senso di curiosità mista ad ammirazione nei confronti del pittore, allontanato da tutti perché considerato malvisto anche e soprattutto da Dio.

Una vicenda intrisa di tradizioni e credenze, durante la quale l’intreccio delle vite dei due protagonisti viene come intervallata dall’apparizione della Madonna stessa, tra le tavole più affascinanti e riuscite della scena del fumetto italiano degli ultimi tempi.
Nel momento in cui le sensazioni scaturite da quest’immagine idilliaca divengono quasi tangibili, il lettore viene catapultato di nuovo nella realtà attraverso le immagini di una festa
di paese di cui quasi si possono percepire i suoni. Una scena dai tratti duri e dalle emozioni evidenti, che sembra essere ripresa direttamente da un film neorealista, come d’altronde gran parte del resto dell’albo.

Ma qual è il paese che fa da sfondo alla vicenda? Alessandria del Carretto, in Calabria, luogo peraltro de I dimenticati, documentario muto di Vittorio de Seta cui l’autore si è parzialmente ispirato. Ma contrariamente ai colori sbiaditi della registrazione, Manzone si affida al bianco e nero, sottolineando quei caratteri ricorrenti all’interno di una produzione cinematografica tipica invece del secondo Novecento. L’autore – istintivo e non sbrigativo – passa abilmente da una tavola all’altra senza omettere alcun dettaglio. Nonostante sia un albo piuttosto breve, la narrazione funziona fluidamente e si imprime nella memoria a tratti proprio come se quello fosse l’intento ultimo dell’insistenza dei disegni dell’autore.

Le immagini de “L’ultimo paese” non mirano al gusto documentaristico quanto piuttosto all’evocazione: un passato reale che vive ancora tra i vicoli di paesi considerati ultimi, ma pieni di storie da raccontare.