Silence: il mutismo di Dio e il lamento della coscienza

L’ultimo film di Martin Scorsese è un’indagine sul rapporto tra fede e peccato ambientato nel Giappone del XVII secolo. 

di Luigi Affabile  –  Dopo la finanza e il materialismo estremo di “The Wolf of Wall Street”, Martin Scorsese torna in sala con Silence, basato sul romanzo di Shūsaku Endō, che ha come soggetto le persecuzioni contro i cristiani in Giappone durante il periodo Tokugawa.

Siamo nel XVII secolo. Due padri gesuiti portoghesi, Padre Francisco Garupe (un’interpretazione sterile di Adam Driver) e Padre Sebastião Rodrigues (interpretato da un ottimo Andrew Garfield) entrano in Giappone per cercare notizie del loro mentore scomparso, Padre Cristóvão Ferreira (un Liam Neeson sottotono). In quella terra è in corso una persecuzione dei cristiani, costretti a rinnegare la fede o a subire la tortura e il martirio.

Un’ossessione durata quasi trent’anni: fin da bambino, il regista cresciuto a Little Italy, è sempre stato attratto dalla spiritualità. Ora, Scorsese è riuscito a portare sullo schermo la sua ossessione verso la fede.

«Vivendo nella Little Italy di Manhattan potevi scegliere fra diventare gangster o prete. Io scelsi la via religiosa, ma finii per diventare un regista» – Martin Scorsese

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Il film è a tratti perfetto. La regia è attenta e precisa, a cominciare dalla ricostruzione d’epoca. La pellicola è stata girata e montata con raffinatezza e brutalità: alcune scene, sembrano duelli all’ultimo sangue tra fede e peccato, morte e vita. Le luci e le inquadrature sono di altissimo livello, capaci di fondere in un unico sguardo l’ombra della tensione e la trasparenza della quieteDegna di nota, la fotografia di Rodrigo Prieto, saggia e carica di colori freddi.

Il silenzio, vero protagonista del film, è invadente, madido di tristezza, pieno di passione.

Il più delle volte, il mutismo di Dio mette in crisi i protagonisti del film e in risalto i limiti dell’uomo. Una continua e straziante ricerca di risposte – tra fede e peccato – farà vacillare le certezze del giovane Padre Rodrigues.

Silence è un film impegnativo, ma trasparente. Con pacatezza e garbo, questa storia, calpesta l’anima dello spettatore. Attenzione a non confondere questo film con una lezione di catechismo. Silence non parla di Dio, né tantomeno di religione in senso stretto. Scorsese parla della fede, mostrandoci le sue contraddizioni, i suoi tormenti. Prendiamo la scena in cui i cristiani sono appesi in croce, con le braccia aperte e i piedi congiunti: il grido di orrore supera ogni logica, ogni confine della coscienza umana. Quella coscienza, fatta di lamenti insopportabili, il più delle volte colpevole di lasciarci da soli, in preda alle fragilità dei nostri dubbi. Spesso siamo portati al semplice bisogno di ancorare la nostra nave nel porto sicuro, mantenerla ferma, in cerca di stabilità, di risposte. Magari per trovare quelle risposte, bisogna correre il rischio di perdersi, di mettersi in crisi e lasciarsi cullare da quella voce che tanto ci mette paura: il silenzio.