L’eredità di Zygmunt Bauman

Il pensatore polacco ha anticipato il naufragio dell’essere umano nella “società liquida”. Quali indicazioni ci lascia per affrontare l’era della post-verità?

di Silvia Ferrannini  –  Due anni fa al Salone del Libro Zygmunt Bauman presentava con Ezio Mauro il frutto dei loro più appassionati confronti sull’ethos della democrazia e la modernità, Babel. Con il quieto disinganno di chi di mondi possibili ne ha attraversati tanti (ebreo polacco di Poznan scampato alle persecuzioni naziste, laureato a Varsavia per poi approdare a Tel-Aviv e, infine, a Leeds), Bauman guardava quietamente l’uditorio e altrettanto quietamente ci diceva che siamo tutti disarmati, peregrini che si aggirano trasognati tra le cinte di una fatiscente “comunità” dove ancora non possiamo vivere.

La creatura Democrazia ha sviluppato mille tentacoli ma non è realmente da alcuna parte, ha pietrificato il nostro senso di responsabilità e condotto alla delega, alla vigliacca procrastinazione e alla vuota creazione di promesse. Ci fingiamo ragione per non scoprirci dubbio costante. Davanti a questi grandi quadri di catastrofi e sventure non si rimane tuttavia così scioccati: in tanti l’avevano previsto, tanti lo ribadiscono ora e altrettanti lo urleranno domani.

Bauman è partito da un’immagine e si è figurato tale “incomprensibile moderno” come un liquido che cola rapido e disordinato, incapace di consolidarsi in strutture sicure. È proprio questa la società liquida di cui ora leggerete e sentirete. E in questa storia naturalmente ci siamo tutti noi, pavidi corsari di questo flusso la cui meta è un’unicità che noi stessi ci siamo preclusi: questo perché «quando soffriamo o sopportiamo ad opera di un governo quelle stesse sventure che ci aspetteremmo di patire in un paese privo di governo, la nostra disgrazia è acuita dalla considerazione che siamo noi stessi a fornire gli strumenti della nostra sofferenza». Ammettere di essere esausti di questo nostro piccolo universo, come una coppia di lunga data che non si ama più, è una sconfitta. Ma viviamo con e dentro questo mondo, e la nuova sfida del pensiero moderno è rintracciare le ragioni di questa convivenza ormai forzata.

«Nell’era della post-verità siamo orfani e pieni di paure e concepiamo barriere che ci lasciano ancora più soli»

Far crescere un’opinione ed essere disposti ad accudirne altre è la prima mossa contro chi t’impone un ordine fatuo; è anche certamente preludio di un percorso lungo, ma perché scegliere sempre scorciatoie e trabocchetti? Bauman stesso, così come lo ricorda Mauro, era un pensatore sempre disposto a tornare sulle proprie idee: il cammino si allunga ma almeno lo si percorre con maggiore sicurezza. È avere la forza di rivalutare tutti quei presentimenti di pericolo di cui il sistema ci soffoca in modo subdolo e, per così dire, infantile: troppo facile fare leva sulla naturale fragilità umana. Nell’era della post-verità siamo orfani e pieni di paure e concepiamo barriere che ci lasciano ancora più soli.

Non casualmente Bauman si è sempre espresso a favore dell’immigrazione e dell’integrazione come scudo contro l’ondata informe e violenta del post-vero: e qui si enuclea l’eredità del suo pensiero. La riflessione contemporanea forse deve imboccare con più sicurezza questa via: rifiutare furie e tormenti nichilisti e riaccendere la possibilità di ridefinizione. Scrivendo, pensando e intervenendo nei dibattiti internazionali fino agli ultimi giorni della sua vita, Bauman ha provato a farci vedere un po’ come si fa.