Tu chiamale se vuoi Emo-zioni

Filologia Emo: preparate i fazzoletti per una carrellata di dischi magnifici, intrisi di lacrime e sangue, finiti troppo presto nel dimenticatoio. 

di Enrico Viarengo  –  Pochi giorni fa sono usciti due dischi che avranno un qualche valore – anche solo affettivo – per i fan dell’emo dei tempi d’oro. Il primo è il nuovo degli American Football, che dopo 17 anni tornano a scaldare il cuore degli amanti degli intrecci di chitarra. Tiepidamente, forse, perché nel bene o nel male la formula è esattamente la stessa. Se gli Xiu Xiu rileggono la colonna sonora di Twin Peaks, in buona sostanza gli American Football escono dal freezer e tributano se stessi e quel disco del 1999 diventato ormai un grande classico.

Il secondo album è invece “Integrity Blues” dei Jimmy Eat World. Integrità discutibile, in realtà, perché in questo caso la band dell’Arizona pare aver scelto la strada di un pop-rock facilotto e graffiante quanto un singolone dei Nickleback; facile rimpiangere anche solo gli anni della svolta “pop” con il video di The Middle in rotazione su MTV.

Aggiungiamo anche una chicca tutta italiana: un album dal vivo dei Van Pelt, uscito da poche settimane per la Flying Kids Records. Un bel godere per i nostalgici della voce di Chris Leo, un’operazione onesta e una band ancora in forma, che però nulla aggiunge nè toglie a quanto già detto con “Sultans of Sentiment”.

Insomma, nel 2016 l’emo che fu è ancora in vita. Una gran quantità di giovani band ripropongono e aggiornano costantemente quel sound – con qualche preferenza per le derive math o post-harcore; qualche band storica si riaffaccia sul mercato discografico e ogni tanto i Get Up Kids te li ritrovi in tour Europeo.

Ma c’è anche, purtroppo e per fortuna, chi ha deciso di non invecchiare o chi forse non ce l’ha fatta proprio, nonostante avesse tutte le carte in regola.

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CHRISTIE FRONT DRIVE

Emo duro e puro per questa band di Denver, lentezze e cambi di tempo inclusi. Nel 1995 fecero uno split proprio con i Jimmy Eat World. Un paio di dischi all’attivo, di quelli con riverberi notevoli al rullante e voce sommersa dalle chitarre. Degli ottimi artigiani che nonostante un paio di reunion recenti non si sono scrollati di dosso l’etichetta “for fans only”. Saturday, forte di un’intro strumentale degna di nota, apriva il loro secondo full-lenght.

RAINER MARIA

I Rainer Maria sono unici per la voce femminile. Una decina di anni di attività e molti dischi, tutti di livello, verso una maturità più standard indie-rock. Intonazione e tecnica discutibile, eppure il trio del Wisconsin emozionava per gli intrecci vocali, per la struttura delle canzoni un po’ pazzerella e per quell’alternarsi di dolcezza e rabbia, di sensibilità e rincorse furiose tutte racchiuse nell’opening track del loro esordio, Tinfoil (attacco esemplare: “God Damn it, I’m not talking about my heart”).

JAWBOX

Ci allontaniamo dai territori prettamente emo per una band che ha senza dubbio influenzato il genere: i Jawbox sono già attivi nel 1989 e si formano nella fertile Washington DC dalle ceneri dei Government Issue. Il loro è un alternative rock da libri di storia che riesce a unire gli Husker Du più melodici ad atmosfere più scure figlie dell’hardcore. Il tutto con intelligenza, una certa varietà e indubbia spigolosità. Nel 1994 esce “For Your Own Special Sweetheart” che contiene Savory, pezzo incredibile a tal punto che i Deftones ne fecero una cover qualche anno dopo. Stupefacenti anche le loro esibizioni televisive, in giacca e cravatta da Conan O’brien a dimostrare tutto il loro valore. Sottovalutatissimi, almeno qui in Italia.

BROKEN HEARTS ARE BLUE

Neanche uno straccio di pagina Wikipedia per questa band del Midwest dalla vita brevissima: 1995-1997 e un solo album: “The Truth About Love”. Disagio, pathos e chitarroni a volontà. Modello canzone emo scolastico, ma con un’anima, un calore e un colore tali da renderli una gemma grezza sconosciuta ai più all’interno del ricco panorama d’oltreoceano. Notevoli le ballate, come questa “You Have Enganged Me”: da piangere nel letto guardando il soffitto.

KNAPSACK

Sempre Stati Uniti, ma questa volta California: i Knapsack hanno tirato fuori ben tre album punk-rock dai risvolti emo evidenti, merito della scrittura del leader Blair Shehan. Ritornelli da cantare a squarciagola e un’onestà da applausi. Probabilmente avrebbero potuto – e anche voluto, vista la quantità di singoli\video che si trovano ancora oggi in rete – essere i nuovi Offspring, ma c’è sempre un certo nobile auto-compiacimento nel restare ancorati alla propria nicchia senza cedere a compromessi. Courage was Confused è il singolo del secondo LP “Day Three of My New Life” uscito nel 1997 e rimasterizzato nel 2014.

PENFOLD

Quartetto del North Jersey, tradizionalissimi. Talmente tanto che il loro album più celebre, Amateurs & Professionals (1998) suona come una qualsiasi produzione nostalgica del nuovo millennio. Basti ascoltare la loro June. Si sciolsero nel 2005, e come recita la loro pagina Facebook “Since then, the four members of Penfold remain friends and comrades”. Una di quelle band vissute al momento giusto nel posto giusto, che ha saputo dire basta a tempo debito. Avercene.

ELLIOTT

Arrivano anche gli anni 2000 e con loro arrangiamenti al passo coi tempi. Gli Elliott fanno il loro vero ingresso in scena con “False Cathedral”, disco con un discreto successo di vendita. Produzione curata e una gran bella novità: il piano come elemento di rottura. Un disco con alti e bassi, forse troppo melodrammatico e patinato, ma Voices/Calm Americans resta una grande canzone figlia dei Sunny Day Real Estate più ispirati. Chissà che gli Evanescence o i neomelodici napoletani non siano passati da qui.

CURSIVE

I Cursive di certo non sono una band sconosciuta. Hanno sfornato dischi fino a qualche anno fa, mutando il loro stile (folle) con il tempo. Certo è che l’esordio “Domestica” è un concept album emo dalla forza dirompente (e per chi scrive il loro lavoro più bello). Con una formazione ancora tutto sommato normale rispetto ai loro standard, in “Domestica” trionfano l’originale tecnica chitarristica – ascoltatevi The Casualty – e una voce sicura e poliedrica. Geniali e sottostimati rispetto alle tante altre band del periodo entrate nella storia del genere.

DESAPARECIDOS

Avete presente Conor Oberst aka Bright Eyes? Bene, i Desaparecidos furono la sua sfiziosa band emo. Anche loro di Omaha, come i Cursive. Molto cazzoni e divertenti, forse ironici e beffardi: è facile pensare che fossero un divertissement di un enfant prodige che intanto stava conquistando il panorama musicale indipendente con un progetto ben più personale. Intanto la storia di “Read Music/Speak Spanish” in cui è contenuta Greater Omaha è singolare: il disco fu registrato nella settimana di quel fatidico 11 Settembre e per varie ragioni la band fu molto restia a farlo uscire. Tornarono all’attacco l’anno scorso, passando inosservati, con una seconda raccolta di canzoni sguaiate.

THE VAN PELT

Chiudiamo questa carrellata di canzoni e band da recuperare con un nome noto e già citato. i Van Pelt non hanno bisogno di presentazioni e inserirli in un qualsiasi lista comporta un certo imbarazzo. Se “Sultans of Sentiment” è il capolavoro sui generis della band di New York, uno di quei dischi che avrà qualcosa da dire anche tra 10 o 20 anni, non dobbiamo però dimenticarci che Chris Leo e soci esordirono con un altro gran disco che spesso viene messo in ombra dal suo successore: “Stealing From Our Favourite Thieves” è il risvolto della medaglia Van Pelt, meno cerebrale e più energico, diretto e di cuore. La cavalcata His Steppe is my Praire forse non rispetta nessun paletto legato al genere “emo”. Però emoziona e fa sentire “a casa” un numero imprecisato di ascoltatori pronti ad alzare il volume e a improvvisare un siparietto di air guitar in pigiama nella propria cameretta, con la faccia corrucciata prima di andare a dormire. La quintessenza dell’emo, a ben pensarci.