[REPORT] Peter Murphy: la bellezza del… peccato | Locomotiv Club

Il “Padrino del Goth” fa tappa a Bologna. E di oscuro non c’è soltanto il suo repertorio…

di Filippo Santin – Raccontare come sia stato il concerto di Peter Murphy, mercoledì 26 ottobre al Locomotiv Club, è difficile. Difficile perché il modo in cui si è concluso – lo scoprirete qualche riga più avanti, nel caso non siate stati presenti – mi porterebbe a “spingermi più in là” con le considerazioni, che non riguardano soltanto il leader dei Bauhaus, ma i musicisti in generale in quanto intrattenitori. Andiamo con ordine.

Mezz’ora prima dell’inizio del concerto c’è già una discreta fila che aspetta di entrare. Si notano persone di tutti i tipi: dalla studentessa universitaria come tante, al punk o al goth, fino a chi, magari, ha potuto conoscere i Bauhaus all’epoca in cui si sono formati. Entro quando Dog Byron, sul palco, sta concludendo il suo set di apertura. C’è un’ottima affluenza di pubblico. Si respira un’atmosfera rilassata, confidenziale; ideale, forse, al concerto semi-acustico che è stato preannunciato.

Peter Murphy si presenta senza troppi orpelli, sedendosi ed iniziando quasi subito a cantare sulle note di “Cascade”. Da qui le canzoni scorrono velocemente in sequenza, da “All Night Long” fino a “Indigo Eyes”, per arrivare alla cover di “The Bewlay Brothers” di David Bowie – che fu ispirazione primaria per i Bauhaus. Peter Murphy non spende molte parole durante gli intervalli fra le canzoni, se non per un “Grazie” pronunciato in italiano, e per presentare i due musicisti che lo accompagnano. 

Si continua con una splendida versione di “King Volcano”, accompagnata dal suono di un violino che crea uno spazio senza tempo, mentre il pubblico, vuoi per la dimensione intima del concerto, ascolta in silenzio. La voce del leader dei Bauhaus è pulita, calda, fedele a quella sentita su disco, e sorretta ancor di più dal misterioso carisma che la sua figura ha sempre incarnato.

Non molto tempo dopo, però, avviene qualcosa di strano: Peter Murphy se ne va dal palco.

I musicisti che lo accompagnano lo seguono poi dietro le quinte. Sembra il tipico momento a cui tutti siamo abituati durante un concerto: il gruppo se ne va, aspettando che i fan lo acclamino per tornare a suonare. E in effetti la maggior parte del pubblico pare credere stia andando proprio così. Cominciano gli applausi, qualcuno invoca il nome di Peter Murphy – sempre senza rumoreggiare troppo, vista la natura semi-acustica del concerto a cui ci si era abituati fin lì. Ma alla fine, sul palco, non torna nessuno. Il sipario si chiude. E dalle casse del locale parte la musica di un disco. Nel pubblico ci si guarda l’un l’altro, confusi. Non si riesce a credere che il concerto sia durato così poco – un’ora scarsa – e che Peter Murphy possa essersene davvero andato senza salutare.

Poco a poco comincia lo scambio di ipotesi: che si sia sentito male; che fosse stizzito per la mancata partecipazione del pubblico; che avesse problemi con il fonico. Nessuno sa con certezza che cosa sia accaduto. Fatto sta che dopo il senso di disorientamento, fra molti dei presenti comincia a farsi largo la rabbia. La stessa rabbia che l’indomani verrà riversata sulla pagina Facebook dell’evento.

Qui mi capita di leggere molte opinioni diverse – anche se, va detto, sono pressoché unicamente messaggi di protesta. Le pochissime voci fuori dal coro sono di chi dice che, finché c’è stata musica, si è trattato – non a torto – di un concerto davvero emozionante; e di chi dice che un musicista non è obbligato ad essere “educato” sul palco o ad assecondare le aspettative del pubblico. Nel frattempo il Locomotiv comunica di essere ancora all’oscuro del motivo che ha spinto Peter Murphy a non risalire sul palco per eseguire i bis, e che la sua è stata una scelta dettata semplicemente dal libero arbitrio.

Ora, sarebbe impossibile in questo spazio ristretto aprire una dibattito a proposito del codice etico che un artista dovrebbe oggettivamente rispettare durante un’esibizione. Per quanto mi riguarda – forse a causa della “vecchiaia” che incombe – mi limito a dire che certi gesti “ribelli” da parte di una rockstar non mi affascinano più da tempo. E mi va di citare una ragazza come tante fra il pubblico, con cui ho discusso poco dopo la fine del concerto: “Se proprio non ti va bene la norma, almeno comunicacelo”.