L’Uomo Senza Tonno: il blog in bilico tra cucina e musica

L’Uomo senza Tonno è un blog di cucina nato quattro anni fa, ma non è il solito ricettario come tanti se ne trovano nel web.

di Federica Monello  –  Questo blog parla anche di musica: è il caso, ad esempio, della rubrica “Ricette sonore” che ci suggerisce un delizioso “Polpo alla Massive Attack”. L’autore è Marco Giarratana metà sciéf (come si definisce) e metà cantante, siciliano trapiantato nella metropoli meneghina. La doppia anima dello chef-cantante è fatta da una parte di rock pesante e elettronica a tinte oscure, dall’altra di risotti e ricette varie. Come cantante dopo l’esperienza in alcune band adesso sta per lanciare il suo progetto solista Blackwhale, con il quale sfornerà il disco intitolato “Siberia” subito dopo la calura estiva (e che noi vi consigliamo di ascoltare). Puoi chiamarlo a casa tua per farti cucinare piatti con accostamenti inediti o puoi trovarlo in giro per Milano a testare questo o l’altro ristorante.

Musica e cucina, quale passione è nata prima?

“La musica mi accompagna sin da bambino, le prime canzoni le scrissi a 7 anni – solo testo cantato che registrai con un microfono giocattolo in una cassetta. Dal 1998 in poi ho iniziato a suonare in band più o meno longeve in Sicilia e poi a Milano e adesso sono pronto a lanciarmi in una carriera solista col mio progetto Blackwhale, a cui ho iniziato a lavorare nel 2011. Quella per la cucina è una passione che ho covato per anni ma che solo 4 anni fa è esplosa del tutto con l’apertura del blog.”

L’uomo senza tonno-trailer from De Gustibus Audiovisivi on Vimeo.

Il tuo passato musicale è decisamente rock, mentre il disco in uscita “Siberia” ha una componente elettronica molto forte ed interessante che rievoca i Massive Attack e i Depeche Mode. C’è stato un cambiamento o un’evoluzione in te?

“Ho sempre ascoltato elettronica e sia i Massive Attack che i Depeche Mode sono formazioni che mi porto dall’adolescenza, così come i Nine Inch Nails, che sono un’altra fortissima influenza in questo disco. Con Blackwhale volevo fare qualcosa di diverso sganciandomi il più possibile da ciò che avevo suonato fino ad ora e, sì, rispecchia anche un cambiamento interiore, soprattutto quello avvenuto nell’ultimo anno e mezzo e che ha inciso inevitabilmente sia sui testi che sulla forma stilistica a cui, va detto, il mio produttore Marco “John Lui” Pettinato ha dato un’impronta fondamentale.”

Il disco è in inglese quindi presuppone un ascoltatore ideale che conosca l’inglese o che ami immergersi nella musica, qualora non colga subito il testo. Perché questa scelta?

“Non ho mai scritto testi in italiano, non ascolto normalmente musica italiana a parte sporadici casi. Sono cresciuto col grunge e ascoltando band anglofone, mi viene spontaneo pensare a una melodia vestita di parole inglesi. Il mio ascoltatore ideale è una persona che ritrova qualcosa di profondo e personale nelle immagini che le atmosfere dell’album ricreano. Sebbene mi fa piacere che ognuno trovi qualcosa di suo nei versi, per i testi di “Siberia” sono stato estremamente intimo e onesto con me stesso come mai in passato. Nelle mie esperienze, prima con gli Psychocean e di recente con gli Jussipussi di cui sono il cantante, mi sono spesso avvalso di citazioni letterarie per rimpolpare i testi e mi sono reso conto di usarle come scudo. Temevo di mettermi a nudo. Queste nuove canzoni invece sono state lo spurgo di un periodo complicato e difficile che mi ha però permesso di maturare tantissimo. Essendo il mio progetto solista, dovevo farmi portavoce solo di me stesso e ho quindi dribblato la scorciatoia dei libri – anche se c’è qualche riferimento a Sylvia Plath a zonzo e non dimentico temi a sfondo sociale scrivendo di getto e ciò mi ha fatto sentire molto bene alla fine del processo compositivo. È stata una vera e propria psicoterapia.”

Chef a domicilio, assaggiatore ufficiale per riviste e siti e poi il tuo blog. Come è nato tutto questo?

“Più che chef direi cuoco, al massimo “scièf” come sarcasticamente mi autodefinisco. Il punto di svolta è stata la mia breve collaborazione con Dissapore che mi ha permesso di avere un po’ di visibilità e qualche contatto in più. Dopo pochi mesi, a malincuore, ho dovuto mollare perché non potevo tenere il ritmo e mi sono lanciato a capofitto sul blog (e sulle registrazioni delle voci del disco), da lì è stato un domino e un continuo passaparola tra pr e agenzie che hanno iniziato a invitarmi a eventi stampa. In parallelo, il mio blog è cresciuto parecchio perché ho fatto un restyling completo del layout e ho avviato una costante campagna di promozione sul web che mi ha permesso di ampliare i follower sui social, ma più che andare per ristoranti a mangiare gratis preferisco mettermi ai fornelli e cucinare. Mi trovo molto a mio agio in cucina, anch’essa ha effetti benefici sulla mia psiche perché mi induce a essere concentrato e soprattutto a mantenere calma e lucidità per poter gestire magari due o tre fuochi contemporaneamente senza entrare nel panico.”

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Clicca qui per andare al sito de L’Uomo Senza Tonno. 

Ci racconti come funziona la storia dello chef a domicilio? Gli sconosciuti si affidano totalmente a te o c’è una mediazione?

“Anche se non sembra, dietro c’è un lavoro piuttosto lungo e “sartoriale”. Di norma vengo contattato direttamente da chi vuole organizzare un evento – che può essere una normale cena o pranzo tra amici o un compleanno o un addio al nubilato e cerco di ottenere più informazioni possibili: quando e dove, quanti commensali ci saranno, che tipo di menu si desidera (se di carne, pesce, vegetariano o misto), se ci sono allergie/intolleranze o qualunque altro ingrediente che non devo proprio usare. Cerco di interpretare i gusti degli invitati, ogni evento ha un suo menù, è una storia a sé. Propongo quindi diverse opzioni per ogni portata (antipasto, primo, secondo), attingo dai miei quaderni o creo dei piatti ad hoc per l’occasione in modo che tutti i commensali possano mangiare qualunque piatto venga scelto. I clienti creano il loro menu, quindi sta a me offrire delle scelte che siano appetibili.

Da qui inizia una seconda fase. Qualche giorno prima dell’evento, sempre che non sia fuori Milano (cucino anche in trasferta), faccio un sopralluogo in casa dell’ospite per controllare gli spazi della cucina, di quali attrezzature dispone: di norma, quando manca qualcosa porto io l’attrezzatura che serve. Il giorno prima dell’evento, in base alla materia prima necessaria per i piatti, inizio a far la spesa, ovviamente carne e pesce li acquisto il giorno stesso e non è raro che vada in 4-5 posti diversi per rifornirmi di tutto il necessario. Lascio sempre all’ospite la scelta di permettermi di cucinare tutto in toto nella sua cucina – il che spesso richiede 5-6 ore di lavoro ai fornelli oppure no. In tal caso preparo le cose più lunghe e complesse nel mio laboratorio e poi trasporto il tutto nel luogo dell’evento per preparare il resto del menu. A differenza di un catering, in cui è tutto cucinato ore prima, i miei piatti sono fatti sul momento come nella cucina di un ristorante. Io servo direttamente i commensali esponendo le portate, il perché e il percome dell’uso di certi ingredienti, dietro ogni mio piatto ci sono sempre una logica e numerose prove.”

Quando cucini ascolti musica? Questa ispira i tuoi piatti?

“Di sicuro la mia formazione musicale, che è piuttosto ampia e complessa, ha dato un imprinting alla mia personalità e quello che cucino, sebbene io abbia ancora tantissimo da imparare e scoprire, credo che rispecchi il mio io interiore, quindi anche se non in maniera diretta, una connessione tra le due cose c’è. Ad ogni modo, scelgo la musica da ascoltare in base ai miei stati umorali ma quando cucino sono molto concentrato e preferisco distrarmi meno possibile, non è raro che in casa regni il silenzio, soprattutto quando provo una ricetta per la prima volta.”

Hai aperto la tua rubrica “Piatti Sonori” con il polipo alla Massive Attack, hai avuto un’intuizione o ci hai ragionato bene? Ne seguiranno altri? Noi speriamo vivamente di .

“Fino a un anno fa curavo una rubrica di “cucina letteraria” sul sito di letteratura Finzioni (finzionimagazine.it), creavo piatti partendo dalle sensazioni che un autore o un libro mi suscitavano. È una cosa estremamente soggettiva e facilmente opinabile ma il divertimento stava proprio lì. Trasporre il meccanismo in ambito musicale una volta rifatto il look al blog m’è parso naturale e su quel piatto, sebbene ci sia un abbinamento un po’ telefonato come polpo e ceci, ci ho ragionato molto, quasi un mese per tentare di ricreare, prima alla vista e poi al palato, le sensazioni che i Massive Attack mi suggeriscono. Ho una lista di altri musicisti a cui ispirarmi ma mi trovo nel mezzo di un periodo molto ingarbugliato e ho pochissimo tempo per sedermi e riflettere per trovare nuovi spunti. Di certo non è una rubrica che intendo sotterrare, ma per nuove idee ci vuole una dose di concentrazione che al momento mi manca.

CONTATTI

Il tuo disco e il tuo piatto preferito?

“Troppo difficile, così come scegliere un libro che stia sopra tutti. Ogni periodo della mia vita è stato scandito da album o romanzi e saggi che mi hanno aiutato a destreggiarmi nel mondo. Per tanti motivi potrei dire che il mio album preferito sia Lateralus” dei Tool, lo è stato per tantissimi anni ma negli ultimi tempi ne ho uno diverso in base al periodo. Tipo oggi ti direi “Cross” dei Justice perché è una settimana che lo ascolto a ripetizione.
Sul piatto preferito, su due piedi, ti dico il risotto. Preparato in qualsiasi maniera, credo sia un piatto stupendo e di estrema eleganza, regolato da una sintassi nobile di consistenze, cromatismi e profumi e che si presta a innumerevoli varianti, più versatile della pasta. È anche il piatto che più mi piace cucinare.”

Ti trovi più a tuo agio dietro ai fornelli o sopra il palco?

“Sono due modi diversi di comunicare sebbene quando cucino a casa di altri sono anche lì “on stage. Cucina e musica esprimono rispettivamente le mie due diverse nature contrastanti: la prima è il mio lato ludico e comico, anche un po’ dissacrante e a volte cafone, la seconda invece è pura espiazione, un’immersione nelle mie oscurità, quando scrivo una canzone tento di liberarmi di qualche peso che, nonostante io sia una persona molto positiva ed equilibrata, c’è sempre. Sono affezionato a entrambi questi due poli, sono parte di me e ho la fortuna di poterli esprimere grazie alla mia creatività. Ho imparato a conoscere me stesso in questi ultimi anni, ad accettarmi nel bene e nel male e sia la cucina che la musica mi hanno aiutato in questo processo di “auto-studio” della mia personalità. Finalmente posso dire di volermi bene e credo che questo sia il primo e fondamentale passo per riuscire a voler bene al prossimo in maniera autentica.”