Il demone veste Prada

Il controverso regista Nicolas Winding Refn torna a dividere con il “caso” The Neon Demon: un vero e proprio trip visivo che va inevitabilmente ad alimentare l’eterno dibattito tra diverse idee di cinema…

di Isabella Parodi  –  Nell’immensa distesa platinata della Città degli angeli entra senza far rumore la giovane e ingenua biondina Jesse (Elle Fanning), un gracile agnellino sacrificale pronto ad immergersi in una piscina di squali griffati. Vuole diventare una modella e per (s)fortuna quel suo fascino virginale piace proprio a tutti. A tutti tranne che alle colleghe (Bella Heathcote e Abbey Lee), che le “metteranno i bastoni tra le ruote” (per usare un eufemismo) e trattandosi di Refn, di certo non parliamo di piccoli scherzetti come scambiarle la cipria giusta con una di tonalità sbagliata.

Nicolas Winding Refn (o NWR, come si firma nei titoli scimmiottando Yves Saint Laurent) si butta nel thriller psichedelico a tinte horror, confermando le derive prese con l’ultimo Solo Dio perdona. InThe Neon Demon più che mai ci troviamo di fronte a un reparto artistico solido come la roccia, chiaramente alla mercé delle (splendide) seghe mentali di Refn. Il film è uno spettacolare susseguirsi di performance musico-visive di perfezione matematica, in cui l’elettronica spacca-viscere di Cliff Martinez e la fotografia tagliente iper-fluo di Natasha Braier si mischiano in una danza di trance esoterica che incanta lo spettatore dal primo all’ultimo minuto del film.

Art is not about good or bad, guys. Those days are over. The internet has changed, so film as an art form is about an experience. Good or bad is Chinese food or the pepper steak you had at the French bistro last night.  – NWR

The neon demon è un trip. Un trip in cui Refn si trastulla dall’inizio alla fine, godendo e facendoci godere. Come egli stesso ha detto a Cannes, “L’arte non è più roba da buoni o cattivi. Quei giorni sono finiti. Internet ha cambiato tutto, ora il cinema come forma d’arte significa esperienza.”
Come dargli torto? Il cinema è saturo, del confronto tra bene e male non frega più niente a nessuno e il paradigma narrativo aristotelico è sempre più démodé.
Però c’è un però. Qual è il confine tra il cinema prettamente artistico (come dice lui), al limite della videoarte, e un sano buon cinema? La risposta dovrebbe essere banalissima: la storia.

Oggigiorno più che mai abbiamo bisogno di film intelligenti oltre che belli, e il fichissimo The neon demon non lo è. Furbo sì, ma intelligente no. E’ come le sue modelle, un guazzabuglio ordinato di vacua perfezione formale. E’ esattamente come quel mondo che tenta di denunciare (o forse no?), in cui “la bellezza non è tutto, è l’unica cosa”. E mentre lo spettatore è ipnotizzato da musica a palla, specchi e triangoli vulvici, la trama oscilla pericolosamente tra lo stregonesco di Suspiria e la schizofrenia de Il cigno nero e abbandona per strada la sua protagonista arrivando dappertutto e da nessuna parte. Il vecchio e acciaccato tema della corruzione dell’innocenza non si compie fino in fondo e gli scambi di battute non sono troppo lontani dalle frivolezze del Diavolo veste Prada di turno. Ad intervenire come un deus ex machina sono gli ultimi venti minuti, in cui il Refn violento e nichilista che tutti amiamo magicamente si risveglia.

Un bel finale, però, si sa, non basta a fare una buona storia. E allora il pubblico si divide. Arte o dramma? Estetica o contenuto? Ha ragione Refn a dire che il cinema ormai deve essere arte esperienziale, sempre più manierista, sempre più tecnicamente al limite? Per stupire un pubblico sempre più navigato e strafatto di media si può solo esagerare? Io continuo a tifare per chi riesce a trovare l’equilibrio.

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