Pericle il Nero: fuga e redenzione?

Il noir di Stefano Mordini con Riccardo Scamarcio è l’unica rappresentanza italica al festival di Cannes e porta sugli schermi il romanzo di Giuseppe Ferrandino.

di Silvia Ferrannini  –  Che le omonimie non traggano in inganno: la giustizia di Pericle Scalzone (Riccardo Scamarcio) ha ben poco a che vedere con la democrazia del celebre condottiero ateniese. Pericle è semplice esecutore di un’altrettanto semplice politica: a chi tradisce si fa il culo, e non solo simbolicamente. Ma, si sa, i codici possono conoscere aberrazioni: e quando Pericle viene mandato dal camorrista-padrone Don Luigi (Gigi Morra) a punire un prete dalla predica troppo esplicita sbaglia, sbaglia irrimediabilmente e colpisce a morte (così lui crede) la figlia di un altro boss, Signorinella. La sola legge a cui fare appello è la fuga.

La storia sta tutta nel corpo e nell’aura di Scamarcio, facendo così fronte a un intreccio tutto sommato piuttosto debole, non senza cadute nella prevedibilità. Pericle vive la latitanza nella propria carne, la sviscera con ogni movimento e sfavilla dalle sempre velatamente tristi pupille verdi, che sanno allargarsi ed effondere lacrime di fronte a un mare desolato, come capita a qualsiasi uomo comune. E forse non gli è subito chiaro che il nuovo punto di partenza sta proprio lì, tra sabbia, l’increspatura delle onde e il livore della cittadina francese.

Il cuore torbido di Pericle intravvede il barlume dell’assoluzione solo quando il sistema a cui fino ad allora era vincolato gliela nega. Nel corso del film questo capovolgimento viene tratteggiato entro i giusti tempi, con la secca essenzialità caratteristica del noir, concedendo forse troppo alle convenzioni proprie del genere (il bene e il male, l’onestà e la malvagità davvero hanno una fisionomia così netta e definita?).
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Pericle ha effettivamente il nero dentro e fuori di sé, nella stanza di Bruxelles dove è coperto da una famiglia di tunisini, nelle strade verso Calais che è costretto a percorrere per evitare di esser fatto fuori. Unica nota di colore: gli occhi di Anastasia (Marina Fois), madre di due bambini impiegata in una boulangerie che dopo le iniziali resistenze accoglierà il fuggitivo, sospendendo il giudizio. Da questa nuova umanità sorge il riscatto, e la dissonanza in Pericle, già segnata metaforicamente dalla lunga linea nera tatuata dietro la schiena, forse inizia ad armonizzarsi. A quel punto la grigia Calais smette di essere un rifugio e diventa l’alternativa; e il viaggio di ritorno verrà condotto non più con la circospezione del ricercato ma con la risolutezza del vendicatore.

Grazie al Cinema Massimo di Torino per la disponibilità: qui il programma completo. 

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