Kappa FuturFestival Fuck You in da Ass?

Il racconto della seconda e ultima giornata di Kappa FuturFestival 2015 al Parco Dora di Torino.

_ di Lorenzo Giannetti

Dopo la scorpacciata di good vibes del primo giorno, prosegue la maratona del Kappa FuturFestival; e nel bis della seconda giornata ce n’é per tutti i gusti, dal palato più raffinato allo stomaco più vorace. Bisogna fare i conti con uno sciopero dei mezzi pubblici e con un’afa che frigge il cervello ma il pubblico si riversa all’ombra del FuturStage sin dall’apertura dei cancelli di mezzodì, sotto la copertura dell’imponente scheletro arancione dell’ex acciaieria sabauda.

Affacciata sul fiume, prosegue la selezione eclettica del DoraStage, che diventa poesia quando in consolle si piazza il tedesco Recondite, per un live set camaleontico e visionario, in bilico tra momenti estatici e fendenti techno: una seduta di ipnosi by the river. Bass e Kings Stage sono sostituiti da due palchi “di segno opposto”: Disco Stage e Techno Stage. Il primo, sotto l’egida di patron Dj Harvey, é il regno del groove. Il tandem Harvey/Young Marco, visto recentemente darsi il cambio alla Boiler Room di Milano (leggi qui il nostro report) fa faville, per poi cedere il posto a Prins Thomas che fa muovere il piedino con la sua space-disco in salsa scandinava (rispolverate la compilation “Nordic Chill”: un incrocio tra un geyser e un arcobaleno) che ci riporta a materiale abbastanza in voga recentemente, grazie anche all’exploit di illegittimi “figli delle stelle” come Todd Terje (protagonista degli ultimi MTV Days alla reggia di Venaria).

Ma l’eroe di giornata é sicuramente Daniele Baldelli, veterano del clubbing nostrano, agitatore della Riviera Romagnola By Night e padrino della Cosmic, una sorta di italo-disco funkadelica da viaggio intergalattico che ha fatto, per intanto, il giro del mondo. Il suo set è un Autobahn che sfocia sulla spiaggia: al Parco Dora si balla a piedi nudi con la tuta da astronauti.

Al Techno Stage invece c’è da presentarsi con la maschera da saldatori: qui la crew di Genau – con la direzione artistica di Gandalf, factotum che si occuperà di “dare la buonanotte” nel set di chiusura – mette subito le cose in chiaro – anche e soprattutto in termini di qualità – con la cassa pneumatica della coppia Alicanti e Capriati, per poi piazzare il colpo del K.O. con il bombarolo spagnolo Reeko, che riesce nel difficile compito di sostituire al meglio il suo maestro Oscar Mulero (defezione causa motivi di salute, peccato davvero ma va di lusso così) e con l’argentino Jonas Kopp, della scuderia Tresor.

Tra la guerra di trincea in 4/4 e il palco principale avviene anche un curioso “incrocio”: dopo il warm up di Lollino, sale in cattedra Sven Väth che incalza mixando due mine del calibro di “On Synth” e “Back to Space” di Alex Bau, che sta suonando a pochi metri di distanza sul palco di Genau! Un bell’omaggio “ravvicinato” dell’Imperatore Väth al guru della techno Bau (aveva fatto una cosa simile qualche giorno prima al Love Family Park di Magonza: that’s amore!). Bau poi regala uno dei set da incorniciare nella bacheca del 2015 (guarda qui il video di Televisione Pirata), invece dopo la partenza da lacrimuccia Väth “controlla il vantaggio” senza strafare, mentre il suo sosia in canottiera (il fratello, pare!) balla da solo per tutto il set davanti a un tappeto ormai fitto di persone (immaginate il Mangoni di EELST in tenuta da clubbing).

I Die Antwoord meriterebbero una trattazione a parte, anzi forse due o tre. Una per il progetto in sé (concettuale, musicale, cross-mediale, politica), un’altra per lo show sul palco, un’altra ancora per contestualizzare gli headliner di quest’anno nella line up del festival. Non c’è artista in questi Anni Zero che abbia diviso critica e pubblico polarizzando opinioni e giudizi (e quindi alimentato un dibattito, anche interessante) come i Die Antwoord e la loro techno da bidonville.

Uniscono M.I.A. e gli Aqua, Kusturica e i Pokémon, Borat e Johnny Rotten, Eminem e Freud. Geni? Fuffa? Marketing? Punk? Circo? Rappresentazione parodistica o pantomima a effetto? “La risposta” hanno deciso di chiamarsi, in lingua afrikaans, questi tre agitatori post-tutto di Città del Capo: anche se difficilmente i dubbi di cui si accennava troveranno risposte univoche nell’immediato.

Restare indifferenti, comunque, è difficile: prendere o lasciare. Bisogna dire che dal vivo il loro carrozzone techno-rave funziona: un freak show che non nasconde la sua forte impronta teatrale (scenografie, coreografie, cambi d’abito, siparietti) dove Ninja é il redneck-rapper dalla faccia truce e Yo-Landi é la cyber-Lolita dallo sguardo alieno. Dj Hi-Tek è la terza tessera del puzzle: il dj sovrappeso (oh, io non riesco a non pensare al bambino ciccione di Fatboy Slim…) con la maschera da freaks pompa una hit dietro l’altra dal suo sound system con la chiara intenzione di “fuck you in the ass”: Ugly Boy, Baby’s on fire, Cookie Thumber e una dinamitarda Happy Go Sucky Fucky. Su Enter The Ninja parte il carosello di tutto il Parco Dora che neanche Laura Pausini… Anche I fink u freaky é ormai un inno messo a memoria e strozzato solo dal pogo forsennato del parterre.

Passato in breve tempo dal tutone da Pikachu ai boxer dei Pink Floyd, Ninja è scatenato: planerà sul pubblico in stage diving un paio di volte ed é lui che “prende in mano” tutti i presenti mentre una più pacata Yo-Landi intona le sue filastrocche con voce filtrata all’elio.
Insomma, Tutti frutti: i Die Antwoord sono come un’abbuffata di cioccolata che poi te ne penti ma intanto sticazzi puoi passarmi la panna montata? Ma – direte voi – ok gli esaltatori di sapidità ma poi la sostanza? Personalmente continuo a crucciarmi: odi et amo. Vedremo sulla lunga distanza se e come sapranno uscire dalla centrifuga di citazioni e parossismi; e reinventarsi. Per ora i Die Antwoord probabilmente sono e possono essere solo la risposta ai Die Antwoord.

Nonostante lo scetticismo nei confronti di un nome ai margini del clubbing-propriamente-detto e di una proposta con le sue ingenuità dal punto di vista strettamente musicale, i Die Antwoord erano uno degli act più attesi dell’anno (per la prima volta a Torino, tra l’altro): la fanfara sudafricana ha in fondo più che ripagato le aspettative dei fan e l’eurodance in salsa distopica dei più controversi headliner della storia del festival si è rivelata un esperimento interessante per il Kappa, allargandone di molto il bacino di utenza.
“Da dove vieni?” è una delle domande più gettonate per il chiacchiericcio inter-festival: sentire quanta gente NON venisse da Torino, in questo weekend di luglio a base di elettronica, è una piacevole sorpresa.