Sound Lectures: il professor Fennesz e altre interferenze d’autore al Circolo dei lettori

Una lectio magistralis d’elettronica e un’orchestra in un acquario: Sound Lectures è un ciclo di “conferenze” piuttosto particolari per gli standard istituzionali del Circolo dei Lettori.

L’ambizioso progetto nasce dall’avvicinamento e dalla sinergia di due realtà torinesi apparentemente lontane: da una parte il salotto della cultura sabauda in pieno centro storico, dall’altra la crew del Superbudda, tra i pochi avamposti culturali a (r)esistere nei blocchi di cemento degli ex Docks Dora, nella periferia nord della città.
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Il concept delle Sound Lectures prevede l’inte(g)razione di differenti forme d’arte nella sfarzosa cornice di Palazzo Graneri della Roccia. Una dialettica ancora atipica per il circolo di via Bogino, abituato a passerelle più ingessate, ma non del tutto estraneo ad esperimenti di questo tipo (pensiamo alle jam del Torino Jazz Festival, alle sonorizzazioni dei reading o alle matinée con la Classica). Una trasferta di prestigio per la squadra del Superbudda, ormai sempre più una “factory del contemporaneo”, fisiologicamente votata alla sperimentazione e alla commistione di linguaggi diversi  (questo mese, per dire, potreste imbattervi nel Concerto per altoparlanti!)
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E in effetti, alla fine dell’ariosa scalinata di Palazzo Graneri, proiettati verso la prima delle tre Sound Lectures previste, possiamo affermare che un Circolo dei Lettori così non lo avevamo mai visto: sontuosi tendaggi di luce e stoffa incorniciano le finestre con visuals caleidoscopici e arcobaleni di pixel. Il gioco di luci rimbalza anche sugli immensi bassorilievi che sembrano abbracciare la Sala Grande. Le sedie in plexiglas lasciano il posto a tappeti, sofà e poltroncine.
L’incipit di questa sinfonia da leggere o di questo romanzo da ascoltare è affidato a Sabla, producer nell’orbita del collettivo torinese Gang of Ducks – ormai una garanzia di elettronica da trip lynchano. Melodia ridotta all’osso, beat zoppi e vuoti da colmare: volendo fare una parallelo con le Lettere, é chiaro fin da subito che la “narrazione” delle macchine sarà più vicina alla penna di Borroughs, Woolf e Joyce che alla “bella scrittura” in senso classico. Il folk primitivista, ancestrale, viscerale di Miles Cooper Seaton invece mi riporta a certe pagine di Cormac McCarthy
Nel tempio della letteratura torinese, il demiurgo di quella “Comune psichedelica” che risponde al nome di Akron/Family cita a sorpresa Italo Calvino, annoverandolo tra i suoi scrittori preferiti. L’approccio del californiano alla chitarra, invece, si avvicina ad atipici guitar heroes “locali” come Paolo Spaccamonti. Una pastorale americana ispirata (d)alle traversate solitarie nel deserto roccioso degli States: un assolo bluesy destrutturato si gonfia poco a poco, tra droni e fumi d’incenso, per poi trovare zenit nel mantra mutuato da Sun Ra, intonato quasi a cappella da un Seaton in stato di trance. Cuore, corde, polmoni. 
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Il professor Fennesz sale in cattedra di lì a poco. Oggetto di discussione: “La variabile glitch: fenomenologia elettronica per chitarra e computer dal ’95 ad oggi” (un tomo che esiste solo nella mia mente *ndr). Il producer austriaco é uno dei massimi esperti in materia. Un ricercatore insaziabile di nuove soluzioni tecniche e concettuali (ogni scienziato é un po’ filosofo e viceversa?), capace di attraversare un ventennio di musica elettronica cambiando almeno un paio di volte le regole del gioco – per tutti. Dopo anni di studio matto e disperatissimo, melodico e distorto (la rivoluzione glitch, la meditazione ambient, l’ascesi post-rock) quello che raccoglie il boato del Circolo dei Lettori é un Fennesz ancora in tensione evolutiva ma più “umano” e più “pop”. Il fuoriclasse austriaco prova a raggiungere un equilibrio tra scampoli di melodia e bordoni di rumor bianco, cuore e cervello, emozione e concetto – come suggerito dall’ultimo disco “Bécs”.
 
Fulcro dell’indagine acustica dei Quiet Ensamble sono invece le interazioni tra natura e tecnologia – tematica che ha ispirato anche l’ultimo album dei torinesi NiagaraRivelando un approccio non così lontano dal Fennensz più oltranzista, con le loro installazioni che sfruttano in maniera inusuale luce, frutta, lumache e altre amenità per produrre “suono” (rumore? musica? tutte e tre le cose?) i Quiet Ensemble scandagliano e amplificano le “potenzialità” dell’errore, del caso e del caos: se Fennesz è un processore, i Quiet Ensemble sono un megafono? Di questo, di metamorfosi del presente, di sinestesia e crossmedialità e di molto altro ancora si discuteva di fronte all’installazione-acquario, dove a “fare il concerto” erano i pesci rossi, veicolando onde di suono e d’acqua. Strumenti improbabili per un’orchestra ignara ma imprevedibile e sempre diversa. O sempre uguale?
Non resta che rifugiarsi nella riflessione e nel silenzio, consapevoli che tutto scorre, evolve, cambia: muto, come un pesce?